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LETTERE

Per l’indipendenza nei collegi, terzo sindaco «estratto» da un apposito elenco

Giovedì, 13 gennaio 2011

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Caro Direttore,
dopo qualche giorno di silenzio intorno alla querelle relativa al cumulo degli incarichi dei revisori contabili mi sembra opportuno riportare in evidenza il problema, sempre ricco di nuovi spunti e possibili riflessioni (si veda “Per contenere la spesa pubblica, servono revisori «super partes»” dello scorso 6 gennaio).

Le soluzioni possono essere viste da diverse angolazioni e, tra le varie ipotesi avanzate su queste pagine (limite al cumulo tout court, limite al cumulo con valutazione caso per caso, soglie di criticità e peso degli incarichi, un no “senza se e senza ma” al limite), alcune mi sono particolarmente gradite e vorrei insistere su un aspetto in particolare: la natura pubblicistica dell’incarico del revisore, il quale deve garantire l’osservanza della legge, dello statuto e dei corretti princìpi di amministrazione non solo nell’interesse dei soci che lo hanno scelto, ma nell’interessi di tutti i terzi.

Parlare di “limite al cumulo degli incarichi” è effettivamente riduttivo e banalizzante, anche se, a pensarci bene, non è facile capire come chi ha 50, o anche “solo” 40 o 30, incarichi assegnati possa dedicarsi profittevolmente (e l’avverbio non è qui nella sua accezione economica) alla revisione e presumibilmente alla “professione” nel senso più completo del termine.

Per innalzare il livello di qualità della prestazione resa dal sindaco (attività di vigilanza, verifiche periodiche, redazione della relazione al bilancio, rilascio di valutazioni e pareri) e garantire la partecipazione personale e professionale in tutte le delicate fasi della vita di una società, prime fra tutte le riunioni del CdA e dell’assemblea dei soci, è necessario, inevitabilmente, far parte di un numero limitato di collegi. Ma appare evidente che questa deve essere la conseguenza, non il presupposto.

Oltre alla professionalità del revisore, un altro elemento rilevante è l’indipendenza che il revisore deve in ogni caso garantire nel rispetto di princìpi etici e deontologici.
I profili di rischio che possono compromettere l’indipendenza del revisore, così come indicati nelle “Norme di comportamento del collegio sindacale delle società non quotate” del nostro CNDCEC, fanno riferimento alla prestazione di attività di patrocinio o assistenza tecnica dinanzi alla commissione tributaria a sostegno o contro la stessa società di cui è sindaco, all’interesse personale con dipendenza economica, all’eccessiva confidenzialità, fino all’intimidazione.

In tutti questi casi, è chiaro che il sindaco non può garantire imparzialità e indipendenza (a meno che non sia affetto da turbe psichiche con sdoppiamento della personalità).
Viene da domandarsi, chi può garantire che il sindaco nominato non incorra in queste ipotesi? Come avere la certezza che l’impegno assunto sia scevro di qualsiasi recondita sudditanza psicologica/economica/di convenienza?
Queste domande sono forse destinate a rimanere senza risposta. Ma si può tentare almeno qualche ipotesi di soluzione, come ad esempio assicurare la separatezza tra controllori e controllati o porre un limite al numero dei mandati in un arco temporale o, come propone Luigi Carunchio, “Trovare sistema di nomina svincolato dalla potestà volitiva dell’assemblea e demandato a un soggetto terzo” (si veda “Limiti non solo al cumulo degli incarichi, ma anche al numero di mandati” del 4 agosto 2010).

Una possibile ipotesi potrebbe essere quella per cui su tre sindaci, due vengono scelti dall’assemblea, mentre il terzo viene “estratto”, con modalità del tutto oggettiva, da un elenco, tenuto dall’Ordine locale, e magari composto dai colleghi under 45.
Forse, in tal modo, si potrebbe garantire la “terzietà del terzo sindaco” e la possibilità di allargare le esperienze lavorative in un’ottica di solidarietà di categoria.

Da ultimo, non ritengo condivisibile l’idea di chi sostiene che dietro questa campagna ci sia l’intento di una sorta di “socializzazione” degli incarichi. Se in Italia ci sono 100.000 professionisti e di questi buona parte non sono ammessi nel gotha degli incarichi sindacali perché esistono stimati, eticamente corretti, seri e capaci professionisti che lo fanno da 30 anni, allora il problema è forse di chiusura elitaria di una casta arroccata e famelica, che non dà bella mostra di spirito di categoria.


Keti Candotti
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Venezia

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