L’imposta patrimoniale colpirebbe l’unica ricchezza del Paese ancora rimasta
Caro Direttore,
la lettura dello studio OCSE appena pubblicato (National Account at the Glance 2010, Parigi, 2011) conferma quanto ti scrissi, il mese scorso, a proposito del progetto di imposta sul patrimonio (si veda “Per l’imposta patrimoniale servirebbe un sistema fiscale più serio”) e offre alcune interessanti informazioni sulla posizione italiana in ambito OCSE, sulle quali merita fare qualche riflessione.
L’Italia, nel periodo 1999 – 2009, è il Paese OCSE che ha avuto la crescita media annua in assoluto più bassa (0,5% medio annuo); fatto 100 il valore medio OCSE del PIL pro-capite, l’Italia ha registrato un inesorabile declino, passando da 106 nel 1996 a 95 nel 2009, con una perdita di 11 punti in 13 anni, a fronte di una caduta, nello stesso periodo, di 4 punti per la Germania, di 3 punti per gli Stati Uniti, della costanza della Francia e di un aumento di 7 punti, nonostante la grave crisi, per la Gran Bretagna. Solo il Giappone ha fatto peggio di noi, con una caduta del PIL pro-capite di ben 18 punti, nonostante questo, nel 2009, sia pari a 97, ossia ancora 2 punti più alto di noi.
Si aggiunga che, in valore assoluto, “dietro” di noi ci sono, in ordine, la Nuova Zelanda, poi la Grecia, Israele, la Slovenia, la Corea e alcuni Paesi dell’Est Europa; persino la Spagna ha un PIL pro-capite più alto di noi, di 3 punti (98). Similmente, l’Italia è il Paese OCSE con il più basso tasso di crescita del reddito netto reale (vicino allo zero).
Nel 1996 l’Italia, a livello di sistema Paese, aveva un tasso di risparmio netto del 7,9%, tra i più alti in Europa; nel 2009 questo è diventato negativo (-1,2%), ossia nel Paese si spende più di quanto si guadagna, attingendo ai risparmi pregressi. Nello stesso periodo il tasso di risparmio è passato dal 5,8% al 6,2% in Germania, dal 6,4% all’1,8% in Francia, dall’8,4% al 2% in Spagna, dal 4,1% allo 0,9% in Gran Bretagna. Solo gli Stati Uniti (-2,5%), l’Islanda (-5,4%), il Portogallo (-8,3%), la Grecia (-11,8%) hanno tassi di risparmio negativi più alti di noi, che peraltro siamo usciti indenni dalla crisi dei subprime.
Quanto al tasso di risparmio delle famiglie, nel 1996 l’Italia si posizionava al 17,9%, il più alto in Europa; nel 2009 il tasso era sceso al 7,1%, contro il 12,5% della Francia, l’11,1% della Germania, l’11,9% della Spagna; persino gli irlandesi ci battono, al 12%: non siamo più i maggiori risparmiatori europei.
La posizione finanziaria del nostro Paese, nel 1998, era positiva del 2,1% del PIL; nel 2008 era negativa del 3,1%: disaggregando il dato, si vede le società sono passate da un debito dello 0,4% del PIL nel 1998 ad uno del 4%; lo Stato ha ridotto il debito dal 3,1% al 2,7%, mentre la posizione finanziaria attiva delle famiglie è scesa del 5,6% al 3,6%, ossia due punti di PIL. In Francia, nel 2008, il saldo finanziario positivo delle famiglie era al 3,1%, in Germania al 5,6%, in Spagna all’1%.
Le esportazioni italiane, nel 2009, sono cadute del 19,1%, contro il 14,3% della Germania e il 12,4% della Francia, l’11,6% della Spagna. Dietro di noi stanno solo 3 Paesi OCSE: Grecia, Finlandia e Giappone.
Fatto 100 il valore aggiunto prodotto, la remunerazione del lavoro in Italia è del 47,7%; in Germania del 57,3%, in Francia del 58,4%; i Paesi che remunerano il lavoro in maniera inferiore a noi sono la Polonia, la Grecia, il Cile, la Slovacchia e il Messico.
La posizione finanziaria netta dello Stato (debito pubblico meno attività finanziarie) in Italia nel 2008 era al l’89,7% del PIL; solo il Giappone stava peggio, al 92% del PIL. Persino la Grecia aveva una minor posizione finanziaria netta negativa (78,9%). Nel 2010 l’Italia è passata al 100% del PIL, la Grecia all’88,6%. Ogni commento è superfluo.
Le attività finanziarie delle famiglie pro-capite sono passate da 55 mila dollari del 1998 a 75 mila dollari del 2008, più dei francesi e dei tedeschi, ma meno degli inglesi (nel 2008 rispettivamente di circa 62 mila, 68 mila e 95 mila dollari nel 2008).
Dopo una serie così deprimente di statistiche sulla situazione italiana, della quale colgono il triste declino economico, finalmente un indicatore positivo: nelle attività (finanziarie e non) delle famiglie, peraltro accumulate in anni passati, stante la recente diminuita capacità di risparmio degli italiani, sta la vera ricchezza del paese, ma forse anche una delle poche ancora rimaste.
Pensare di colpire anche questa, con un’imposta sul patrimonio, mi parrebbe, oggi, cosa scriteriata. Sono sempre più convinto che fra vent’anni, forse, come ti scrivevo, potremmo riparlarne.
Stefano Marchese
Ordine dei Dottori commercialisti ed Esperti contabili di Genova
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