I commercialisti non hanno voce
Caro Direttore,
mi permetto anche io, in qualità di dottore commercialista, di entrare nel dibattito di questi giorni in merito alla nostra professione. Ho letto numerosi interventi sul tuo quotidiano, molti dei quali condivisibili.
Ma il nodo cruciale rimane uno ed uno soltanto: i commercialisti non hanno voce. Per troppi anni sono stati rinchiusi nei loro studi, preoccupati solo del proprio giro d’affari, senza considerare che la professione era in forte evoluzione. Chi doveva farsi carico di portare avanti le istanze della nostra professione non lo ha fatto o lo ha fatto in maniera inadeguata. La colpa è nostra e soltanto nostra.
Adesso manca un rapporto prioritario con il Parlamento, con il legislatore, con le istituzioni che trattano di politica tributaria. La rappresentanza parlamentare dei commercialisti è scarsa rispetto a molte altre professioni e la loro voce è quasi inesistente. Non è un caso se i commercialisti sono stati gli ultimi ad essere chiamati al tavolo della riforma fiscale del Ministero, e solo dopo che è stata fatta notare questa pesante “assenza”.
È paradossale che i veri “tecnici” della politica fiscale siano ignorati nel momento in cui debbono essere scritte le norme tributarie di questo Paese. O si partecipa in questa fase, o tutto diventa quasi inutile. Gli avvocati in questo possono insegnarci molto: la loro presenza in Parlamento è ampia, molti sono i ruoli di rilievo che tali professionisti rivestono a livello istituzionale, la loro voce in materia legislativa è forte e, in certi casi, decisiva.
La nostra categoria ha vissuto per molti anni di rendita, ma adesso che le cose sono cambiate, adesso che ci sarebbe bisogno di una voce forte e chiara da parte dei professionisti contabili, tale voce è quasi inascoltata. Sono apprezzabili gli sforzi del nostro attuale Consiglio nazionale e del nostro Presidente, ma le loro voci spesso cadono nel vuoto; la colpa non è loro, ma di anni di disinteresse.
La nostra voce, al contrario, dovrebbe essere forte. Dovremmo essere i veri attori della politica tributaria e non dei meri spettatori. Ma la propria forza istituzionale non si costruisce in pochi mesi; saranno necessari anni per creare quella referenzialità che non abbiamo mai avuto. Sarà necessario cambiare atteggiamento ed entrare con forza nelle decisioni che ci spettano e ci riguardano: per il bene del Paese e non solo della nostra categoria. Vedo che qualcosa inizia a muoversi, sia a livello delle nostre rappresentanze, sia a livello di singoli professionisti, stanchi di essere inascoltati. Ne sono lieto. Ma il cammino è ancora lungo.
Sarà necessario pensare anche ad altro, oltre alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi o alla stesura dei bilanci. Dobbiamo uscire dal nostro guscio, iniziare a chiedere e, in certi casi, a pretendere.
Come è stato fatto notare più volte, il Fisco riversa sulla nostra categoria la maggior parte degli adempimenti tributari a suo favore: sarei curioso di vedere quanti, tra imprese e artigiani, sarebbero in grado di formalizzare in proprio il rapporto con il Fisco, di adempiere in proprio alla valanga di adempimenti tributari. Dobbiamo ribadire che il commercialista, oggi, svolge una funzione sociale, una funzione di pubblica utilità, come il medico di base. Dobbiamo farci forti di questa realtà e pretendere quello che ci spetta. È inutile prendere posizione a cose fatte; i commercialisti devono riuscire ad entrare a pieno titolo nel processo di stesura delle leggi tributarie e nella formalizzazione degli adempimenti. I commercialisti debbono diventare parte attiva del sistema tributario italiano, così come gli avvocati lo sono nel sistema penale e civile.
Questo è il nostro ruolo, questa è la posizione che ci spetta e che ci meritiamo. Per il bene del Paese, oltre che della nostra categoria.
Federico Sarti
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Prato
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