La mediazione: piccolo o grande, un successo dei commercialisti
L’evento in materia di mediazione civile organizzato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili che si tiene oggi a Torino, con la partecipazione del Ministro Alfano, è senza dubbio un appuntamento il cui significato vuole andare ben al di là del mero convegno.
Pur con tutti i limiti derivanti da un ambito di applicazione ben lungi dall’essere completo, l’entrata in vigore della mediazione civile obbligatoria rappresenta nel suo piccolo una autentica rivoluzione.
Raggiungerà gli obiettivi che ad essa sottendono, ossia la diminuzione del numero di cause pendenti avanti corti di giustizia sempre più allo stremo delle forze e l’incentivazione di comportamenti virtuosi nei cittadini volti a privilegiare la via della composizione degli interessi su quella della litigiosità talvolta strumentale?
Difficile dirlo, ma del resto stiamo parlando di obiettivi davvero ambiziosi.
Quello che sembra però possibile dire sin da ora è che rappresenta un giusto tentativo.
Le tutele giurisdizionali del cittadino non vengono in alcun modo compresse, posto che il tentativo di conciliazione si antepone e non si sostituisce ad alcuno dei vari gradi di giudizio, come invece si è inopinatamente ipotizzato alcune settimane fa nella proposta di riforma del processo tributario che sarebbe gradita al Ministero dell’Economia e delle finanze.
L’idea che sia opportuno provare a discutere nel merito della questione, assistiti da un mediatore qualificato, prima di abbandonarsi ai piaceri dei cavilli e alle lungaggini procedurali, che spesso finiscono per mettere in secondo piano l’oggetto stesso del contendere, è meritevole di un tentativo di sua concreta attuazione.
Gli stessi rappresentanti nazionali degli avvocati non sono contro la logica della mediazione e, in fin dei conti, non sono nemmeno contro la sua natura obbligatoria: l’evoluzione temporale delle loro posizioni ha chiaramente dimostrato che sono contro soltanto al fatto che la mediazione obbligatoria non abbia di obbligatoria anche l’assistenza da parte di un legale.
Ciò che ha consentito alla mediazione obbligatoria di essere approvata e poi di entrare concretamente in vigore è stata l’ampia convergenza tra categorie economiche e professionali.
Diversamente, sarebbe stato impossibile.
Tra tutti, i commercialisti italiani hanno però giocato un ruolo oggettivamente importante.
È giusto infatti ricordare che furono i commercialisti i primi a parlare in modo assertivo e deciso dell’opportunità di prevedere un tentativo di conciliazione obbligatorio, quale filtro ineludibile per l’accesso al processo civile, al fine di decongestionare il sistema della giustizia e spingere i cittadini verso la composizione degli interessi, anziché verso una litigiosità resa tanto più esasperata e talvolta strumentale da un sistema al collasso.
Al tema fu dedicato un ampio spazio al Congresso nazionale della categoria tenutosi a Torino nel marzo del 2009, sia nella relazione del presidente Claudio Siciliotti che nel libro, “Protagonisti del cambiamento”, presentato e distribuito in tale occasione.
Al Congresso venne anche il Ministro Angelino Alfano e non sembra quindi un caso che oggi i commercialisti celebrino, con un evento di rilievo nazionale che si tiene di nuovo a Torino e nuovamente con la partecipazione del Ministro della Giustizia, l’entrata in vigore di una riforma per cui molto si sono spesi e da cui molto si attendono per il Paese ed anche per quello che loro stessi sapranno fare, nella veste di mediatori, quando chiamati a ricoprire tale ruolo in virtù delle loro competenze e non di altro.
Ci sono molte questioni che stanno a cuore ai commercialisti, su alcune delle quali c’è talvolta l’impressione di una non sufficiente attenzione o comunque di una non sufficiente incisività da parte di chi li rappresenta a livello nazionale.
A volte sono magari impressioni ingenerose; a volte invece non lo sono affatto.
Poiché però oggi parliamo di mediazione, possiamo con serenità riconoscere che, se Claudio Siciliotti ed il suo Consiglio hanno sicuramente molto da lavorare per potersi davvero considerare i “Protagonisti del cambiamento” che il titolo del Congresso nazionale di Torino 2009 invocava, possono a buon diritto considerarsi quanto meno protagonisti di un cambiamento.
Un cambiamento che può essere utile al Paese e che di sicuro non sarà nocivo ai commercialisti.
Per cui, chapeau. Dopodiché, domani è un altro giorno, si vedrà.
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