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EDITORIALE

Per il pareggio di bilancio, serve la politica del rigore

/ Enrico ZANETTI

Mercoledì, 27 aprile 2011

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Il Documento di Economia e Finanza 2011 (DEF), presentato la scorsa settimana dal premier Silvio Berlusconi e dal Ministro Giulio Tremonti, evidenzia dati in linea con gli obiettivi che il governo si era posto con orizzonte temporale il 2012, varando nel 2010 la manovra triennale da 25 miliardi di euro.
In questo risiede la c.d. “tenuta dei conti pubblici”, di cui il governo va fiero con buone ragioni per esserlo.

Il DEF è però contradditorio quando affronta il futuro prossimo venturo.
Da un lato, infatti, prefigura la necessità di abbassare ulteriormente il rapporto deficit/PIL, dal 2,7% che ci si attende per fine 2012, all’1,5% sul 2013 e addirittura allo 0,2% sul 2014; arrivando così a una situazione di sostanziale pareggio di bilancio che, per la storia italiana, sarebbe un inedito.
Dall’altro, però, ipotizza sul 2013 e sul 2014 manovre finanziarie nell’ordine di mezzo punto di PIL per ciascuno dei due anni, ossia circa 8,5 miliardi di euro all’anno.
Le due cose insieme paiono impossibili: o si fa una manovra di questa entità, ma allora si rinuncia all’obiettivo del pareggio di bilancio sul 2014 (il rapporto deficit/PIL scenderebbe all’incirca al 2,2% sul 2013 e all’1,6% sul 2014); oppure si punta seriamente all’obiettivo del pareggio di bilancio sul 2014, ma allora serve una manovra “lacrime e sangue” da circa 40 miliardi in due anni e non “soltanto lacrime o soltanto sangue” da 17.

Purtroppo, il livello del debito pubblico italiano, sia in termini di valori assoluti, sia in termini di percentuale sul PIL, rende ineludibile l’avvicinamento dell’obiettivo del pareggio di bilancio: con i soli tassi di crescita della nostra economia, anche formulando ipotesi ottimistiche, non riusciremo mai a convergere in modo apprezzabile verso il significativo riequilibrio progressivo del rapporto tra debito pubblico e PIL che ci impone l’Europa.
Considerata la variabile elettorale, è del tutto probabile che, tra quest’anno e il prossimo, il governo preferisca mettere in cantiere manovre che garantiscano il minimo sindacale del rigore, rinviando poi all’inizio della legislatura successiva il momento per un inevitabile “rabbocco” di non poco sacrificio.
Una strategia comunque già molto migliore di quella che per decenni ha caratterizzato lo scenario politico italiano e che sicuramente farà felice anche chi la pensa come il Ministro Galan, intervenuto nel dibattito sulle scelte di politica economica non per dire se, dal suo punto di vista, sono utili o dannose per il Paese, ma per dire che così si perdono le elezioni.

L’accusa lanciata in questi giorni dalla CGIL al Ministro Tremonti, di essere stato ambiguo sulla reale portata degli ulteriori sacrifici che si renderanno presto necessari, è dunque non priva di fondamento.
Rimane il fatto che la CGIL è una delle principali esponenti di quel modo di fare politica e sindacato che ha portato l’Italia nelle secche in cui si trova, mentre la politica del rigore sul fronte della spesa che il Ministro Tremonti sta portando avanti e difendendo è una delle poche cose che potrebbe traghettarla fuori.

I sacrifici vanno considerati necessari per dare un futuro al Paese

Nella sua qualità di sindacato che tutela nominalmente i lavoratori, ma nella sostanza i pensionati (cioè chi ha già lavorato), la CGIL è infatti il naturale interlocutore con cui costruire una politica fiscale in cui non si incentiva la produzione della ricchezza, bensì l’impiego della ricchezza già prodotta; oppure con cui costruire una politica previdenziale in cui non ci si preoccupa di garantire diritti a chi non li ha, bensì soltanto a chi ne ha già di maturati.

Cioè proprio quello che hanno fatto molti di coloro che, in questi anni, hanno dimostrato di concepire i sacrifici non come qualcosa di necessario per dare un futuro al Paese, ma come qualcosa di necessario per assicurare la sopravvivenza del suo passato sulla testa delle giovani generazioni.
Per quanto potrà ancora funzionare così?

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