Perplessità per i professionisti «senz’Albo» nelle STP
Egregio Direttore,
qualcuno ha fatto un sogno e lo ha mirabilmente rappresentato, altrove, una manciata di giorni addietro. Provo pudore a svegliare quel qualcuno dalla fase onirica che ancora lo ammanta, ma credo si renda assolutamente necessario farlo. Ebbene, nel sogno vi erano verdeggianti distese costellate di STP in fiore, vi erano professionisti abilitati e lavoratori autonomi non abilitati che felici si rincorrevano e si abbracciavano, vi erano soci d’opera non professionisti, ovvero prestatori tecnici, e soci finanziatori non professionisti che si miscelavano a soci professionisti: insomma, per farla breve, un guazzabuglio di manzoniana memoria.
Interrompiamo, con sommo dispiacere, la fase REM. Innanzitutto mi soffermerei sull’art. 10, comma 4, lett. b) della L. 183/2011, che prevede “l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento”.
La norma fa esplicito riferimento a soggetti non professionisti “per prestazioni tecniche” e, pertanto, per un verso, atteso che la L. 4/2013 contiene ”disposizioni in materia di professioni non organizzate”, non è proponibile, purtroppo, la possibilità di attingere a soggetti professionisti per l’espletamento delle potenziali prestazioni tecniche, a meno che i diretti interessati non vogliano si fornisca un’interpretazione a geometria variabile della generosa rubricazione concessa dal legislatore, a seconda delle necessità e delle opportunità di volta in volta occorrenti. Per altro verso, qualora si volesse dare un’interpretazione non restrittiva e meno letterale della norma, i professionisti iscritti in Ordini, Albi o Collegi, soci di una STP, dovrebbero avere più di qualche perplessità a considerare la partecipazione di soggetti non ordinistici, pertanto non abilitati, per le eventuali e potenziali prestazioni tecniche.
Senza voler estendere il campo d’indagine ad altre professioni, mi limito a prendere in considerazione la nostra. Nel caso dei dottori commercialisti e degli esperti contabili sussiste innanzitutto una questione pregiudiziale, ovvero perché delegare a soggetti non abilitati prestazioni tecniche, ove le stesse non siano palesemente eterogenee per materia rispetto a quelle per le quali la nostra competenza sia legislativamente sancita dall’art. 1 del DLgs. 139/2005.
Le competenze, specifiche e tecniche, del dottore commercialista – sezione A dell’albo professionale – e dell’esperto contabile – sezione B del medesimo – sono così ecumeniche da non richiedere l’ausilio di altre figure professionali e non professionali, seppur apparentemente contigue alla nostra. Volendo esemplificare, se ad altrui giudizio l’assioma fosse quello di affidare le prestazioni tecniche ai tributaristi nell’ambito di STP costituite tra dottori commercialisti, la risposta tranciante sarebbe che ci sono gli esperti contabili, al più. Non è una risposta corporativistica, si badi, ma una risposta dettata dal buon senso e dalla necessaria tutela dei soci professionisti e della fede pubblica.
Non possiamo tacere in merito al fatto che i soggetti non organizzati in Ordini o Collegi hanno una disciplina che declina con il canone dell’eventualità ciò che, al contrario, è per i professionisti ordinistici un obbligo perentorio. Basti pensare alla polizza assicurativa di responsabilità, assolutamente eventuale per i senz’Albo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. e) della L. 4/2013, obbligatoria, invece, per le professioni ordinistiche. L’autoregolamentazione volontaria, la qualificazione dell’attività dei soggetti senz’Albo e la relativa certificazione rilasciata da un organismo accreditato, relativa alla conformità alla norma tecnica UNI (peraltro ancora non specificatamente elaborata per i tributaristi), sono aspetti anch’essi eventuali, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. f) della citata legge.
Vi è di più. L’art. 2 della legge istitutiva dei senz’Albo prevede, al comma 1, che le associazioni volontarie di natura privatistica, cui i soggetti possono facoltativamente aderire, garantiscano “il rispetto delle regole deontologiche” degli associati e, al comma 2, che gli statuti e le clausole associative delle predette associazioni di non organizzati in Ordini o Collegi debbano garantire, tra le altre cose, “l’osservanza dei principi deontologici”. Appare evidente, pertanto, che i soggetti non associati non hanno alcun perimetro deontologico cui ispirare il proprio operato, ma è altresì evidente che ogni associazione potrà avere un proprio codice deontologico, uno diverso dall’altro, insomma, e ciascuno con proprie peculiarità anche nell’ambito di associazioni insistenti su medesimi segmenti lavorativi. Dunque, atteso che “i professionisti soci sono tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine”, ex art. 10, comma 7 della L. 183/2011, pare quantomeno opportuno che anche le eventuali “prestazioni tecniche” rese da soci non professionisti abbiano una loro cornice deontologica, meglio se nell’ambito di una professione regolamentata.
Né sembra foriera di alcun valore aggiunto la possibilità, per i soggetti non organizzati in Ordini o Collegi, di partecipare alle STP come soci finanziatori, posto che in tal caso parteciperebbero solo al capitale sociale e per ciò stesso senza alcuna possibilità di svolgere qualsivoglia attività o opera.
“Quanto più bello il sogno, tanto più deludente il risveglio”, ha scritto Giovanni Soriano. La sconsigliabile incorporazione di soci non professionisti per prestazioni tecniche impone, tra le altre cose, un’attenta e non facile attività di delimitazione e segnalazione all’esterno, per rispettare quanto sancito dalla sentenza n. 11545/2012 della Cassazione a SS.UU. penali.
Marco Cramarossa
Presidente dell’UGDCEC di Bari e Trani
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