L’irrilevanza penale dell’evasione sotto la nuova soglia «vanifica» i processi
Con un successivo innalzarsi delle soglie di punibilità le condanne sarebbero poste nel nulla
L’entrata in vigore della nuova disciplina dei reati tributari si è caratterizzata per un innalzamento di alcune delle soglie di punibilità richiamate dalle disposizioni presenti nel DLgs. n. 74/2000. Tale modifica ha determinato una problematica inerente alla sorte dei procedimenti penali pendenti quando l’imposta evasa, o meglio non pagata, sia di importo inferiore a quella oggi indicata dal legislatore come penalmente rilevante.
In proposito, a fronte delle due possibili prospettazioni – ovvero ritenere il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa una condizione oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente (Cass. nn. 25213/2011 e 6705/2015), oppure affermare che le soglie di punibilità, nonostante tale qualificazione, rappresentino un elemento costitutivo del reato (Cass. nn. 12248/2014 e 36859/2014), secondo cui il mancato raggiungimento della soglia impone l’assoluzione “per non essere il fatto previsto come reato”) – la tesi prevalente è decisamente nel secondo senso.
Da tale conclusione discende l’irrilevanza penale di tutti i fatti di evasione commessi in passato e che abbiano determinato il mancato pagamento di imposte per un importo minore rispetto a quello indicato dalla nuova norma quale soglia di punibilità. Con la conseguenza che se il relativo procedimento è tuttora in corso, lo stesso andrà a concludersi con sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (o con un decreto di archiviazione con la medesima formula); mentre per le condanne nel frattempo intervenute e già passate in giudicato, le stesse dovrebbero essere revocate in sede di esecuzione secondo quanto prevede l’art. 673, comma 1, c.p.p., ai sensi del quale “nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti”.
Non è nostra intenzione contestare la correttezza di questa conclusione; tuttavia, ci pare evidente che dalla stessa derivi l’inutilità dei processi in tema di reati tributari che verranno a svolgersi negli anni futuri, i quali saranno inevitabilmente destinati ad essere messi nel nulla da una nuova – inevitabile – riforma del diritto penale tributario, che innalzi le soglie di punibilità.
Cerchiamo di spiegare il perché di questa affermazione, chiarendo quale sia la funzione delle soglie di punibilità negli illeciti fiscali e per quale ragione sia palese che le stesse, nel corso degli anni, siano soggette ad un continuo innalzamento.
In proposito, va considerato come il legislatore, fissando una condizione di punibilità da individuare nell’importo dell’imposta da superare, configura, in astratto, la condizione perché la condotta conforme alla fattispecie possa ritenersi anche offensiva degli interessi protetti: in sostanza, l’evasione rappresenta un illecito, ma si è in presenza di un reato solo quando il mancato pagamento dell’imposta superi una certa cifra giacché solo in questo caso deve ritenersi significativa l’offesa all’Erario. Ovviamente, la determinazione del quantum di evasione penalmente significativo dipende dalle circostanze storiche in cui la condotta è tenuta, per cui, esemplificando, un’evasione di 20.000 euro aveva una significativa rilevanza economica – e ciò ne giustificava la punizione nel 2000 e negli anni successivi – mentre invece ha una connotazione economicamente irrisoria oggi, e quindi il legislatore ha fissato una nuova soglia di punibilità rendendo irrilevante i comportamenti in precedenza tenuti.
Orbene, non vi è chi non veda come questa spirale di innalzamento delle soglie sia destinata a protrarsi nel futuro conformemente alla crescita dei prezzi e dei valori economici; circostanza storica che renderà nel futuro irrilevanti economicamente comportamenti oggi invece portatori di una significativa lesione degli interessi dell’erario. Ma ciò significa, allora, che le condanne che vengono oggi pronunciate con riferimento, ad esempio, all’omesso versamento di acconti IVA o di ritenute fiscali o di omessa dichiarazione diverranno in futuro – fra uno, fra dieci, fra vent’anni (si ricorda che la recente riforma delle soglie di punibilità segue di 15 anni l’adozione dell’originaria disciplina) – penalmente irrilevanti e le condanne nel frattempo pronunciate, anche se passate in giudicato, verranno poste nel nulla…..
Ed allora una domanda si affaccia inevitabile: è davvero il caso di fare processi per questi illeciti o non sarebbe il caso di riservare la risposta penale a comportamenti connotati da significativi atteggiamenti di frode ed inganno, come quelli descritti negli artt. 2, 3, 4, 10, e 11 del DLgs. n. 74/2000?
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