A smaltire le obbligazioni e i rifiuti ci pensi lo Stato
A fine anno è abbastanza naturale provare a fare bilanci e propositi, anche se di solito sono noiosi o peggio maldestramente autocelebrativi.
Tuttavia, qualche parola la vorrei spendere, alla luce del pensiero tecnico e sulla base dell’esperienza che mi deriva dal nostro lavoro di commercialisti impegnati ad assistere le imprese nell’impresa di sopravvivere e continuare ad assicurare lavoro per le persone e gettito per l’Erario. Soprattutto in un momento in cui i mezzi di comunicazione, tanto per fare audience, sono impantanati in un catastrofismo a buon mercato e in una superficialità che rasenta la disonestà intellettuale, facendo passare l’idea che il mondo sia un posto a rischio zero, dove tutto deve andare sempre bene e, se succede qualcosa, la responsabilità va immediatamente addossata a qualcun altro. Come dire, se vai in montagna a sciare, e tutto fila liscio, allora potrai raccontarlo fiero agli amici; se qualcosa va storto, la collettività deve farsi carico dei soccorsi e delle cure.
Un po’ come accade per i rifiuti. Io decido di andare a fare un picnic in un ameno luogo di villeggiatura. Dal momento che comprarli lì costa caro, mi porto dietro i panini, le scatolette di tonno e l’anguria. Quando ho finito produco una bella borsata di rifiuti indifferenziati, magari lamentandomi perché non trovo un cestino portarifiuti abbastanza vicino al luogo da me prescelto per la scampagnata. Rifiuti che la collettività di quel posto dovrà poi preoccuparsi di raccogliere e smaltire. Finché la pellicola di alluminio avvolge il mio panino, potrei anche ucciderti se cerchi di prendermela, ma una volta che ha terminato l’utilità per me, ecco che devo potermene sbarazzare senza fatica e senza costi.
La vicenda delle obbligazioni di banca Etruria è analogamente emblematica. Persone che si professano ora del tutto incompetenti, in cerca di rendimenti elevati, accettano più o meno inconsapevolmente di sottoscrivere strumenti finanziari rischiosi. I vari enti preposti al controllo, lautamente pagati per questo servizio, per anni non intervengono. Quando si scopre che il soggetto che ha emesso i titoli è fallito, allora si mostrano in televisione drappelli di malcapitati che hanno perso tutto. Poiché c’è di mezzo una banca, peraltro nemmeno posseduta dallo Stato, allora deve intervenire la collettività. Strano sillogismo questo.
Se sono stati truffati, come effettivamente sembra, siano risarciti. Ma, come è stato ben osservato, lo siano dai truffatori e da coloro che dovevano vigilare affinché le truffe non avessero luogo. Non certo dall’intera collettività, cioè dallo Stato. Anche perché non vi è dubbio che se le cose fossero andate bene, gli oggi malcapitati avrebbero serenamente intascato il profitto. Alcune emissioni erano quotate e se i tassi si fossero magari mossi in una determinata maniera, i possessori avrebbero anche potuto vendere le obbligazioni facendo una plusvalenza. In quel caso non sarebbero certo venuti a cercare lo Stato, e quindi pro quota ognuno di noi, per assegnarci l’intero profitto.
In Italia il fascino della “lotta di classe” è sempre molto forte. Uno che sfascia una vetrina è uno che sfascia una vetrina, due che sfasciano una vetrina sono una manifestazione. Uno che prende a calci un poliziotto è uno che procura lesioni fisiche ad un pubblico ufficiale, due che prendono a calci un poliziotto sono una manifestazione no global oppure una tifoseria scalmanata che, ovviamente, “nulla ha a che vedere con lo sport”.
Ogni anno sono migliaia le persone “singole” che perdono tutto, per le ragioni più disparate: truffate da intermediari finanziari, investite da automobilisti ubriachi non assicurati, colpite da fallimenti causati da clienti che non pagano (talvolta enti pubblici), vittime di una grave malattia che ha colpito l’unico membro della famiglia in grado di produrre un reddito. Tutto ciò avviene con buona pace di tutti, giornalisti e politici dell’opposizione di turno compresi. Se ci fosse meno apprensione verso i fenomeni collettivi idonei ad essere mostrati in tv e più attenzione verso la collettività, forse una briciola ci sarebbe anche per loro.
Ecco allora che un buon augurio per il 2016 potrebbe essere quello di crescere tutti verso una maggiore assunzione di responsabilità. Avere ben presente che pubblico vuol dire “di tutti” e non “di nessuno”. Cominciare a pensare davvero che lo Stato non è una vacca da mungere o un distributore di stipendi, emolumenti, pensioni e pagamenti da percepire infischiandosene totalmente della sostenibilità complessiva della spesa e della qualità della prestazione in ragione della quale sono erogati. Fare un passo verso la consapevolezza che il benessere di tutti passa attraverso lo sforzo di ciascuno, facendo nostro l’adagio secondo cui, se ognuno tiene puliti i 5 metri di marciapiede davanti a casa sua, tutta la città sarà pulita... dimenticandoci per un anno che, con la nostra IMU, il Comune stipendia un congruo numero di netturbini e che se vuole vedere qualche pezzo di strada pulita davvero deve ricorrere ad una cooperativa, i cui soci lavoratori, oltre a garantire che il lavoro sia fatto, potranno essere oggetto di serena spending review alla bisogna.
Buon anno e ci rivediamo il 4 gennaio 2016.
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