Per qualche miliardo in più
Uno dei modi per far sognare un capo di Governo o un Ministro delle Finanze posso immaginare sia prospettare aumenti di gettito significativi senza aumentare le tasse.
Ecco allora che provvedimenti come split payment, reverse charge, spesometro, versamento del TFR all’INPS si intrufolano nell’ordinamento promettendo gettito aggiuntivo, che talvolta si manifesta pure.
Basta per esempio trovare il sistema di lasciare l’IVA a credito nella pancia delle aziende per un anno o due e il gioco è fatto. Per un anno o due, appunto. Un po’ come l’acconto IVA, che permise di aggiustare un bilancio, ma già dall’anno dopo gli effetti sui conti pubblici si esaurirono (l’acconto dell’anno 1, ovviamente, mancherà nell’anno n+1, dunque occorrerà prelevarlo a carico dell’anno n+2 e così via).
L’effetto benefico sulle casse dello Stato svanisce, mentre l’adempimento con i relativi costi rimane, per sempre. Proprio come per l’acconto IVA, che obbliga imprese e consulenti ogni anno a effettuare una liquidazione in più, a porsi il problema se conviene il metodo storico o fare una vera e propria liquidazione infra-periodo, ecc. Con circa 6.200.000 partite IVA attive, supponendo che valutare, calcolare e versare l’acconto IVA richieda mediamente 30 minuti uomo per ciascuna partita IVA, al costo azienda di 35 euro l’ora, fa quasi 110 milioni di euro, ogni anno.
Lo sappiamo benissimo che una certa complessità del sistema tributario deriva dalla complessità del sistema socioeconomico, e quindi è implicito che imprese e cittadini debbano, oltre al denaro, destinare anche una certa quantità del loro tempo per adempiere alle obbligazioni che lo Stato stesso pone a loro carico. Ma, come la pressione fiscale, anche la pressione lavorativa non può eccedere certi limiti.
Analogamente alle imposte, che oltre un certo livello diventano espropriative, anche l’assorbimento di tempo oltre certi limiti fa assumere alla richiesta dello Stato la natura di corvée. Cioè quella serie di giornate di lavoro non retribuite dovute dai vassalli al principe nel diritto medioevale, o più di recente, quei servizi di fatica richiesti ai soldati, ad esempio, per la pulizia delle caserme.
Il nuovo spesometro ha largamente travalicato la natura di adempimento tributario per assumere quella di servizio non retribuito. Fornire l’elenco dettagliato, strutturato, in formato dati, di tutte le fatture emesse e ricevute di tutte le imprese italiane ha una dimensione e una complessità tali che di fatto ha acquisito i connotati di un vero esproprio di risorse, a fronte del quale non è prevista nemmeno alcuna forma di equo ristoro.
Non si può, quando si vara una norma, non tenere in alcun conto il carico di lavoro che genererà sui destinatari della norma stessa. E se questo carico di lavoro eccede l’ordinario dovere civico di adempiere, allora va remunerato. Se la collettività ha bisogno di tutti quei dati per perseguire i suoi fini, almeno li paghi, esattamente come fa quando ha bisogno di una saponetta per il bagno dell’asilo.
Ma con lo spesometro questi temi hanno assunto connotati ulteriori e davvero inquietanti. Spero di aver capito male, ma sembra che sia stato possibile (si veda “Spesometro, commercialisti sul piede di guerra” di oggi) accedere molto facilmente ad alcuni dati delle fatture emesse e ricevute.
Il tema è stato liquidato come una questione di privacy.
Certamente solo chi lavora sbaglia, ma qualcuno si è reso davvero conto di quello che è accaduto e di quello che potrebbe accadere in futuro se questi elenchi dovessero circolare illecitamente?
Se potessi accedere all’elenco di tutte le fatture di tutti clienti e di tutti i fornitori di un concorrente potrei sapere esattamente chi sono i suoi clienti e i suoi fornitori, dove risiedono, quanto e come paga ciascuno di essi.
L’effetto potenzialmente distorsivo sulla concorrenza è mostruoso e non posso pensare a quali conseguenze potrebbero derivare per le imprese che operano in mercati dove il prezzo è determinante per l’affidamento e il mantenimento di un incarico o in settori delicatissimi, come quello delle forniture militari. Messa così mi sembra un tema di sicurezza nazionale, più che di privacy.
A questo punto forse conviene fare un bel respiro, prenderci tutti il tempo che serve per valutare bene costi e benefici dell’operazione e approntare mezzi tecnici davvero adeguati alla posta in gioco.