Il grave nocumento morale richiesto dal contratto collettivo per licenziare deve essere provato
Con la sentenza n. 23602, pubblicata ieri, la Cassazione, pronunciandosi su un caso di licenziamento per giusta causa, è intervenuta in merito alla portata delle tipizzazioni dei motivi di licenziamento previste dalla contrattazione collettiva.
Nel caso specifico, il contratto collettivo richiedeva, ai fini della possibilità di intimare la sanzione espulsiva senza preavviso – per quanto rilevava nella specie –, che il lavoratore avesse provocato all’azienda “grave nocumento morale”.
Il licenziamento era stato irrogato in relazione a reati di maltrattamenti in famiglia ed estorsione nei confronti di prossimi congiunti.
Il Tribunale aveva annullato il licenziamento riconoscendo al lavoratore la tutela reintegratoria. La Corte d’Appello aveva invece dichiarato la legittimità del recesso sul presupposto che “l’oggettiva gravità ed odiosità dell’episodio contestato e il discredito cagionato all’azienda anche al suo interno” avessero determinato il grave nocumento morale richiesto dalla disposizione del contratto collettivo applicato al rapporto.
Tale decisione è stata cassata con rinvio dalla Cassazione in quanto la Corte ha dato espressa continuità all’orientamento secondo cui, quando il grave nocumento morale e materiale è parte integrante della fattispecie, occorre l’accertamento della sua sussistenza, quale elemento costitutivo che osta al diritto al ripristino del rapporto (Cass. n. 20545/2015).
Pertanto, a fronte del fatto che nella sentenza d’appello mancava ogni accertamento sui fatti costituenti l’esistenza di un grave danno all’impresa, la Suprema Corte ha ritenuto che tale lacuna impedisse di sussumere correttamente la fattispecie concreta in quella astratta prevista dalla contrattazione collettiva e che, di conseguenza, il ricorso del lavoratore andasse accolto.
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