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Il limite del «quinto» salta quando la retribuzione è accreditata sul conto

/ REDAZIONE

Giovedì, 18 ottobre 2018

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La Cassazione, nella sentenza n. 46995/2018, in relazione a un provvedimento di sequestro del saldo del conto corrente del rappresentante legale di una società quale equivalente del profitto dei reati tributari perpetrati nell’interesse della stessa, ha precisato che il divieto stabilito dall’art. 545 c.p.c., che limita la pignorabilità a un quinto delle retribuzioni, riguarda il processo esecutivo, ed è posto a tutela dell’interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al lavoratore i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita, evitando che gli stessi possano essergli sottratti prima della corresponsione, ma non può, evidentemente, operare al di fuori di tale processo, né, soprattutto, quando le somme erogate a titolo di retribuzione siano (nella specie, da tempo imprecisato) state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo restante patrimonio (di cui neppure è precisata l’entità).

Nel caso di specie, in particolare, il ricorrente non aveva dedotto alcunché, né circa l’entità del suo patrimonio mobiliare, né a proposito dell’ammontare dei suoi depositi bancari, né della sua retribuzione, con la conseguenza che la deduzione circa l’impignorabilità (rectius insequestrabilità) di quest’ultima è reputata del tutto generica, avendo, la somma corrisposta al lavoratore, perso l’invocata natura retributiva a seguito del suo accredito (da epoca non precisata) sul conto corrente bancario del lavoratore medesimo.

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