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LETTERE

Ci sono aspetti da chiarire sugli accordi di ristrutturazione nel nuovo Codice

Sabato, 13 aprile 2019

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Gentile Redazione,
sono a evidenziare alcuni dubbi interpretativi sorti dalla lettura degli artt. 58 e 61 del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (DLgs. n. 14/2019) inerenti, rispettivamente, la riattestazione e l’efficacia estesa degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Anzitutto, il comma 2 dell’art. 58 del DLgs. n. 14/2019, il quale stabilisce la necessità di rinnovare l’attestazione dell’accordo di ristrutturazione omologato in presenza di “modifiche sostanziali del piano”, qualora non si voglia adire la via di altro istituto, non specifica se occorre, oppure no, una nuova omologazione dell’accordo. Infatti, il legislatore ha soltanto specificato che ai creditori debba essere notificato il piano con la nuova attestazione, una volta pubblicati nel Registro delle imprese. Da detta notifica decorrono i 30 giorni per l’opposizione. Ma l’articolo in commento non specifica se e quando procedere a nuova omologazione.

A parere di chi scrive, sarebbe utile un intervento chiarificatore del legislatore, o quanto meno individuare un filone giurisprudenziale che offra la possibilità di una interpretazione o di una soluzione unica e definitiva.
A fortiori ciò sarebbe utile in presenza di modifiche intervenute al piano (una nuova forma tecnica di affidamento inserita nella manovra finanziaria, la cessione di taluni asset in ragione dell’irrealizzabilità della vendita di altri, lo stralcio di un debito piuttosto che un suo riscadenziamento, ecc.) novative del negozio giuridico.
Oppure la norma è sufficiente a garantire l’efficacia verso terzi delle modifiche al piano, così come attestate, visti l’obbligo ex lege di informativa verso essi e la possibilità di loro opposizione?

Altresì, anche l’art. 61 del Codice in parola pone de facto talune incertezze interpretative.
Con l’entrata in vigore dell’articolo potranno presentarsi proposte di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti con efficacia extra partes ai creditori non aderenti.
Più specificatamente, la norma in questione, mutuando quanto già previsto ex art. 182-septies L. fall. per ciò che riguarda i soli creditori intermediari finanziari, sancisce la possibilità di estendere a qualsiasi creditore non aderente (fornitori, Erario, ecc.) il trattamento concordato dagli altri creditori, i quali devono rappresentare almeno il 75% del monte debiti della medesima categoria di cui essi fanno parte insieme ai creditori non aderenti, derogando quindi alla regola del pagamento integrale dei creditori estranei.

In tal caso, è previsto de iure il sindacato del giudice circa l’individuazione dei creditori da inserire nelle categorie, i quali devono essere raggruppati per natura giuridica di interesse economico omogenei.
Ma il giudice, nel decidere limitatamente ai motivi dell’opposizione a seguito dell’eventuale opposizione da parte dei non aderenti entro 30 giorni dalla notifica della documentazione e dell’avvio delle trattative, oppure semplicemente in sede di omologazione, a quali criteri di individuazione deve fare riferimento?

Comprendere gli strumenti ai quali il giudice può fare riferimento nel suo sindacato di merito può aiutare il debitore a categorizzare, mitigando il rischio di vedersi non omologare l’accordo in parola per inammissibilità del presupposto dell’omogeneità di posizione giuridica e interessi economici tra soggetti aderenti e non aderenti cui estendere l’efficacia dell’accordo stesso. Quindi su cosa si fonda detta omogeneità?


Giuseppe Rodighiero
Commissione Formazione UGDCEC Vicenza

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