Consulenza per l’inquadramento contrattuale dei collaboratori non riservata al consulente del lavoro
In conformità al principio della libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, non costituisce una prestazione di natura intellettuale riservata a chi è iscritto nell’apposito Albo previsto dalla legge – e, di conseguenza, non è nulla se svolta dal soggetto non abilitato – l’attività consistente nel consigliare al cliente l’adozione di un determinato inquadramento contrattuale per i propri collaboratori e nella predisposizione del relativo schema di contratto, svolta da una società di consulenza del lavoro, atteso che tale attività non rientra tra gli “adempimenti” che la legge (L. 12/1979) riserva ai consulenti del lavoro iscritti all’Albo.
Questo è il principio sancito dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 14247, depositata ieri, accogliendo il ricorso.
Il ricorso era stato proposto da una società che aveva chiesto il riconoscimento della responsabilità professionale della società di consulenza del lavoro cui si era rivolta per avere assistenza nella gestione dei contratti di collaborazione, la quale aveva consigliato di concludere (ed aveva materialmente predisposto) contratti di lavoro a progetto poi ritenuti dalla Direzione provinciale del Lavoro inadeguati, con conseguente applicazione di sanzioni e contributi previdenziali dovuti per i dipendenti.
Il giudice di secondo grado, però, aveva rigettato il ricorso della società istante, ritenendo nullo il rapporto professionale intercorso con la società di consulenza del lavoro, in quanto carente dell’abilitazione a svolgere l’attività di consulenza aziendale in oggetto. La Cassazione non condivide tale assunto e rinvia la causa nuovamente al giudice di secondo grado in diversa composizione perché la rivaluti sulla base del principio sopra enunciato.
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