L’obbligo di vaccinarsi può derivare anche solo dal contratto di lavoro
La sanzione comminata ai renitenti nel comparto medico-sanitario dal DL 44/2021 può applicarsi analogicamente anche negli altri settori
Pubblichiamo l’intervento di Pietro Ichino, professore di diritto del lavoro presso l’Università Statale di Milano.
In astratto, l’ideale sarebbe una norma che imponesse il green pass per l’accesso a tutti i luoghi di lavoro, come è già previsto per ospedali, case di cura e presidi sanitari. Ma, viste le resistenze che si registrano in seno alla maggioranza, capisco e apprezzo la scelta della gradualità compiuta dal Presidente Draghi: per ora green pass solo per ristorazione e spettacoli, ma con l’avviso che la settimana prossima si parlerà anche della scuola e degli altri luoghi di lavoro.
Ad alimentare la resistenza, un po’ opportunistica, in seno alla compagine governativa ha contribuito fortemente la campagna contro l’obbligo di vaccinazione e contro la relativa certificazione condotta ormai da mesi dal Garante della Privacy, in nome di una concezione talebana del diritto alla riservatezza: il Garante sembra essersi dimenticato della necessità di un bilanciamento tra il principio della protezione dei dati personali e quello, di rilievo costituzionale anche maggiore, della protezione della salute e sicurezza dell’intera collettività.
Per fortuna le indicazioni fornite dal Garante, contrarie alla possibilità di chiedere l’esibizione del green pass alle persone, non sono legge dello Stato: è giusto tenerne conto con la massima attenzione, ma, date le circostanze, fanno benissimo il Governo e gli imprenditori che decidono di non sentirsene vincolati.
Del resto, lo stesso Garante è in grande imbarazzo quando lo si pone di fronte alla contraddizione interna alla sua posizione. Tutta la nostra disciplina in materia di protezione dei dati personali non è altro che l’attuazione di una disciplina generale di fonte europea. Ora, lo stesso Parlamento europeo ha approvato il green pass, come strumento indispensabile per ripristinare il diritto alla libera circolazione nel continente: dunque è lo stesso ordinamento Ue che sancisce la legittimità della richiesta ai cittadini del certificato di immunità per poter circolare e accedere ai luoghi di lavoro o di svago. Il che dimostra l’errore in cui cade chi pretende di sacrificare il diritto alla salute sull’altare di un diritto alla privacy assolutizzato.
Finché non c’è una norma che obblighi tutti a vaccinarsi contro il COVID, come quella che è già in vigore contro la poliomielite, la difterite, e una decina di altre malattie infettive, ciascuno è libero di non vaccinarsi; ma anche ogni albergatore, ristoratore, o gestore di trasporti pubblici è libero di chiedere il certificato di immunità a chi vuole avvalersi dei suoi servizi.
La mia tesi, che corrisponde a un orientamento probabilmente maggioritario fra i giuslavoristi, è che l’imprenditore possa, a norma dell’art. 2087 c.c., sentito il medico competente, chiedere la vaccinazione ai dipendenti in tutti i casi in cui la ritiene necessaria per garantire la massima sicurezza possibile nel posto di lavoro. Se l’imprenditore ha adottato questa misura, egli ha poi ovviamente la facoltà di verificarne il rispetto da parte di ciascuno dei dipendenti. Ci sono già almeno due sentenze di giudici del Lavoro (di Udine e di Belluno) che sanciscono il potere-dovere del datore di lavoro di adottare questa misura, proprio in applicazione di quelle norme generali. E non mi constano sentenze in senso contrario.
Questo discorso non vale solo per i rapporti di lavoro nelle aziende private, ma anche per le amministrazioni pubbliche. L’art. 2087 c.c., così come gli artt. 15 e 20 del DLgs. 81/2008, si applica al rapporto di lavoro pubblico, e in particolare a quello degli insegnanti, esattamente come a qualsiasi rapporto di lavoro privato. Dunque il ministero dell’Istruzione, in applicazione di queste norme, ben potrebbe già oggi dare indicazione a tutti i dirigenti scolastici di esigere la vaccinazione di tutto il personale che da loro dipende. Logica politica, però, vuole che una decisione di questo genere sia il Governo a prenderla, e non solo per il personale della scuola.
Per il caso in cui un dipendente del settore medico-sanitario sia inadempiente all’obbligo di vaccinazione, il DL 44/2021 prevede, dove possibile, l’assegnazione di mansioni diverse, anche inferiori, che consentano l’isolamento del renitente. Dove questo non sia possibile, il decreto dispone la sospensione dal lavoro senza retribuzione. La stessa regola può applicarsi anche al di fuori di quel settore; e, si osservi, è una regola meno severa rispetto a quella che colpisce normalmente il lavoratore che rifiuti di applicare una misura di sicurezza: la regola generale è che in questo caso si può arrivare fino al licenziamento.
Confindustria ha fatto bene a sollecitare il Governo a estendere la disciplina contenuta nel DL 44/2021 a tutti i settori nei quali il lavoro si svolge in ambienti chiusi. Però rimprovero a Confindustria una eccessiva timidezza nell’indicare ai suoi associati la via dell’adozione diretta, in ciascuna azienda, della richiesta della vaccinazione come misura di sicurezza, in applicazione delle norme già vigenti che ho indicato sopra. Quanto alla reazione dei sindacati confederali alla proposta di Confindustria, sarebbe sbagliato generalizzare: molti sindacalisti, anche al vertice, hanno preso una posizione diversa da quella drasticamente negativa assunta dal leader della CGIL. Quelli che invece la condividono dovrebbero rispondere a questa domanda: che senso ha rivendicare un’intensificazione della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, chiedendo che i rischi vengano azzerati, e poi opporsi all’obbligo della vaccinazione, che costituisce l’arma più efficace contro un pericolo gravissimo che minaccia la salute delle persone e la vita stessa delle aziende?
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