De Luca: «Obbligatorio ripartire dalla semplificazione»
Il Presidente dei Consulenti del lavoro e del CUP commenta la manovra e i prossimi provvedimenti che si aspetta dal nuovo Esecutivo
“Penso che, riguardo alle politiche sociali e del lavoro, per dare un vero giudizio bisognerà aspettare la manovra 2024, perché quella appena varata è troppo condizionata dal fatto che si è deciso di destinare i due terzi del budget a disposizione per finanziare le misure di contrasto al caro energia”. È un parere interlocutorio quello che Rosario De Luca, neo Presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro nonché del CUP (Comitato unitario delle professioni), dà sulla legge di bilancio 2023. “Ma alcune cose possiamo dirle”, aggiunge nel corso della chiacchierata con Eutekne.info, durante la quale si è parlato anche di semplificazioni, equo compenso e interlocuzione tra politica e professioni.
Presidente De Luca, in effetti le risorse a disposizione erano poche, ma qualche linea di indirizzo, sul tema del lavoro, si può già intravedere, o no?
“C’è stata una totale conferma e l’implementazione delle misure di incentivazione e sostegno alla gestione dei rapporti di lavoro e mi sento di dire che il mercato ha risposto in modo positivo. Unioncamere ha previsto che potrebbero esserci fino a 500 mila nuove assunzioni nei primi mesi del 2023: se non hai fiducia non ti lanci in questo genere di previsione. Devo dire che questo Governo, che deve ancora dimostrare tutto, gode di una certa credibilità nel mondo delle imprese, vediamo come va il 2023 e poi giudichiamo”.
A cosa è dovuta secondo lei questa fiducia?
“Intanto, all’impegno di intervenire sulle politiche attive che, a prescindere dalla tipologia di Esecutivo, non hanno mai funzionato in questo Paese. Il collocamento pubblico non ha la capacità organizzativa per poter stare al passo e rispondere alle esigenze del mercato del lavoro. In questo senso, mi aspetto dei correttivi importanti per dare una uniformità operativa ai vari centri per l’impiego presenti sul territorio, e che vengano coinvolte anche le agenzie per il lavoro private”.
Una riforma che andrà fatta di pari passo con quella del reddito di cittadinanza?
“Al di là delle polemiche che accompagnano il tema, devo dire che delle politiche di sostegno al reddito ci sono sempre state. Quindi il reddito di cittadinanza va mantenuto per chi non è davvero in grado di lavorare e vanno implementati i controlli, da effettuare possibilmente in maniera preventiva, a differenza di quanto accaduto fino ad oggi. Chi, invece, è in una situazione di potenziale occupabilità, va messo nelle condizioni di lavorare e poi è giusto che non possa più rifiutarsi di farlo”.
La manovra pone fine anche alla stagione dello smart working (a meno che non ci sia un accordo individuale con l’impresa o non si appartenga a categorie fragili). È d’accordo?
“La pandemia ci ha insegnato che si può lavorare a distanza, ma non può essere la prima modalità di lavoro. Personalmente, credo nel lavoro di gruppo, nello scambio di opinioni e nel confronto che si può avere solo lavorando in presenza”.
A proposito delle polemiche che hanno accompagnato la manovra, cosa ne pensa di quelle che hanno riguardato l’ampliamento dello strumento dei voucher?
“Che, appunto, si tratta solo di polemica politica. Il lavoro occasionale è previsto dal nostro ordinamento e non può non esserci. Il grave errore è stato quello di spostare la sfera di utilizzo dei voucher da alcuni lavori a tutti. I temi sono la giusta retribuzione e le tutele: se ci sono entrambe, non vedo dove sia il problema”.
Giusta retribuzione, in generale, significa introdurre il salario minimo o pensa, come altri, che non sia necessario dato che la contrattazione collettiva copre già il 90% delle tipologie di lavoro?
“Qui siamo in presenza di una direttiva comunitaria, che si rivolge a 27 Stati membri, tra cui alcuni con contrattazione all’80%, altri al 50, altri che non ne hanno per niente. L’obbligo di introdurre il salario minimo per legge è per quegli Stati in cui si è sotto l’80%, quindi, nel nostro caso c’è poco da discutere. Ciò non toglie che dei piccoli comparti esclusi dai contratti nazionali vadano tutelati. Ma se vogliamo parlare di salario minimo, dobbiamo anche chiederci chi paga i costi in più per le imprese”.
Però, c’è più di una ricerca che dimostra come in Italia gli stipendi siano ormai bloccati da vent’anni.
“È vero, ma bisogna essere realisti. Tutto va ricondotto alla contrattazione collettiva, perché sul tema non può non esserci accordo tra le parti”.
Visto che ha parlato di complicazioni, parliamo di quelle introdotte dal decreto Trasparenza.
“La direttiva comunitaria dice che i lavoratori devono essere informati dei loro diritti. Nel caso dell’Italia si poteva fare una legge rimandando ai contratti collettivi e, invece, il precedente Governo ha deciso di costringere le imprese a dare ai lavoratori l’estratto del contratto collettivo personalizzato al rapporto di lavoro: un malloppo di 31 pagine che per primi i lavoratori non vogliono, e che per imprese e consulenti rappresenta solo un adempimento inutile”.
Serve semplificare?
“È obbligatorio. Il decreto Trasparenza è emblematico. In Italia di burocrazia si muore. Bisogna semplificare, eliminando gli adempimenti inutili e snellendone altri, senza per questo andare a discapito dei diritti e delle tutele dei lavoratori, che devono rimanere garantite”.
Parlando del comparto professionale, si aspetta qualcosa anche dal punto di vista dell’equo compenso?
“Intanto, siamo felici che questo Governo parli di lavoro autonomo e si sia detto intenzionato a dare pari dignità rispetto al lavoro dipendente. Impedire che una Pubblica Amministrazione possa continuare a fare bandi che non prevedono retribuzione, perché il tuo compenso “è reputazionale”, è sacrosanto. Visto che era un disegno di legge a firma Meloni ci aspettiamo che possa vedere finalmente la luce. Così come ci aspettiamo che si dia seguito all’interlocuzione con tutti gli Ordini professionali che, a seconda della propria competenza, possono portare idee, valore e conoscenze”.
Un auspicio da Presidente del CUP. Con le altre professioni come si muoverà?
“Su una base di assoluta unitarietà. Stiamo andando rapidamente verso l’unificazione all’interno di un altro soggetto (Professioni Italiane, ndr) e speriamo che tutti possano farne parte. Posso non condividere ma rispetto le scelte che sono state fatte in passato, però credo ci sia ancora spazio per un percorso unitario che permetta al sistema ordinistico di mettere tutto il proprio valore al servizio del Paese”.