I contributi vengono prima degli stipendi
La Cassazione, nella sentenza n. 23945/2023, ha ribadito che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2 comma 1-bis del DL 463/1983 convertito) è a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti (cfr. Cass. n. 43811/2017).
Questa scelta, inoltre, è ravvisabile anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli stipendi ai dipendenti e alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute previdenziali, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (cfr. Cass. n. 43811/2017).
La scelta di destinare le risorse disponibili non all’adempimento dell’obbligo previdenziale, ma al pagamento degli stipendi dei lavoratori costituisce una scelta imprenditoriale che attesta la piena sussistenza del dolo.
Neppure rileva la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. (adempimento di un dovere), in quanto l’adempimento dell’obbligo di corrispondere le retribuzioni ai dipendenti non assume una valenza prioritaria e prevalente rispetto quello di versare i contributi previdenziali.
Si è, infatti, affermato che il reato in questione non può essere scriminato, ai sensi dell’art. 51 c.p., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni. Ciò in quanto, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo, essendo il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice (cfr. Cass. n. 23939/2020).