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LAVORO & PREVIDENZA

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore deve proporre il demansionamento

Il recesso deve rappresentare l’extrema ratio per il datore di lavoro, da utilizzare soltanto se non è possibile reimpiegare utilmente il lavoratore

/ Federico ANDREOZZI

Venerdì, 4 luglio 2025

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In materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’onere di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, benché non costituisca un requisito espresso a livello normativo, è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in forza del principio generale secondo cui il recesso datoriale deve rappresentare sempre una extrema ratio; laddove la collocazione alternativa al licenziamento comporti l’assegnazione a mansioni inferiori, il datore è tenuto a prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto soltanto nel caso in cui la soluzione alternativa non venga accettata dal prestatore di lavoro.
In questi termini si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18063 di ieri, 3 luglio 2025.

Il caso di specie vedeva contrapposti un lavoratore, licenziato per giustificato motivo oggettivo, e il suo datore di lavoro: il dipendente, che vantava un’anzianità di servizio di 20 anni e che aveva svolto molteplici mansioni per l’azienda, godeva dei benefici di cui alla L. 104/92 per assistere il coniuge disabile all’80% e osservava, fin dalla data di assunzione, un orario di lavoro a ciclo continuo. Essendo stata soppressa la sua postazione di lavoro, il datore gli aveva proposto uno spostamento a un’altra attività ma con orario differente – a doppio turno –, che tuttavia il lavoratore aveva rifiutato per ragioni legate all’assistenza della moglie, offrendosi di lavorare in qualsiasi altra mansione, anche inferiore, pur di mantenere l’orario precedentemente osservato.
A fronte di detta richiesta, il lavoratore veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo.

Nell’ambito del giudizio di merito, la Corte d’Appello aveva affermato, in riforma della pronuncia del Tribunale, la legittimità del licenziamento, sostenendo come il datore di lavoro avesse adeguatamente ottemperato all’obbligo di offrire un impiego alternativo: era stata proposta, infatti, al lavoratore la ricollocazione in un’altra posizione lavorativa, ma con articolazione oraria su doppio turno. Attribuire rilievo al rifiuto mosso dal lavoratore, a detta del giudice di seconde cure, avrebbe significato negare l’esclusiva discrezionalità del datore di lavoro in materia di organizzazione e gestione dell’impresa, ai sensi dell’art. 30 della L. 183/2010.

A fronte di questa pronuncia, il lavoratore presentava ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, come il datore non avesse dedotto, da una parte, alcuna ragione oggettiva a fondamento della necessità di ricollocarlo nell’orario a doppio turno e, dall’altra, alcun motivo valido per rifiutare l’orario di lavoro richiesto, a ciclo continuo o semi continuo. La Corte d’Appello, in altri termini, non aveva posto in essere, a detta del lavoratore, alcun bilanciamento di interessi tra la libertà di iniziativa economica e i valori sociali di cui all’art. 41 comma 2 Cost.

Così investita della questione, la Suprema Corte riepiloga brevemente i principi in materia di onere di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, specificando come, se da un lato il licenziamento debba rappresentare “una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio”, dall’altro, la giustificazione del recesso fondato su un motivo oggettivo connesso all’interesse dell’impresa deve essere integrata dall’impossibilità di impiegare il dipendente da licenziare in un altro posto di lavoro.

Il datore è pertanto tenuto a prospettare al lavoratore il demansionamento, potendo recedere dal rapporto soltanto se la soluzione alternativa non venga accettata dal dipendente. Inoltre, continua la Corte, nel caso in cui il prestatore di lavoro fruisca della L. 104/92, il repêchage deve essere effettuato in modo “particolarmente pregnante”, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, e “del bilanciamento sotteso alla disciplina di sostegno degli invalidi”, richiedente l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà.

Ciò assunto in punto di diritto, la Cassazione evidenzia altresì come, nel caso di specie, il datore di lavoro avesse assunto, prima e dopo il licenziamento del lavoratore, numerosi dipendenti, anche con orario a ciclo continuo e semi continuo. Alla luce di ciò, i giudici di legittimità accolgono il ricorso del lavoratore, specificando che il datore, prima di procedere con il licenziamento, avrebbe dovuto offrire al dipendente anche gli altri posti di lavoro vacanti nell’orario lavorativo che quest’ultimo già osservava, successivamente colmati con l’assunzione di altri lavoratori.
È evidente, conclude la Corte, come nel caso di specie non mancasse l’alternativa all’estinzione del rapporto lavorativo e che non si potesse configurare l’impossibilità di repêchage solo in relazione al rifiuto, da parte del lavoratore, di una determinata ricollocazione per motivi legati all’orario di lavoro.

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