Ricorso obbligatorio contro l’invito al pagamento del contributo unificato
Il mancato ricorso compromette la difesa se poi si impugna il ruolo
La riscossione del contributo unificato atti giudiziari è contenuta in parte nel DPR 115/2002 e in parte nel DPR 602/73.
Nel momento in cui la segreteria della Corte tributaria di primo o di secondo grado appura che il contributo non è stato pagato o è stato pagato in misura insufficiente, entro trenta giorni dal deposito dell’atto (tipicamente, dalla costituzione in giudizio quindi) viene notificato un invito al pagamento del contributo, pagamento che deve essere effettuato entro un mese (art. 248 comma 1 del DPR 115/2002).
Se il pagamento avviene entro il mese, il contribuente non deve pagare sanzioni e interessi. L’inadempienza, dunque, non dà immediatamente luogo all’irrogazione di sanzioni, come di contro avviene in quasi tutti gli altri sistemi impositivi.
Laddove, però, l’inadempienza dovesse persistere:
- vengono irrogate mediante apposito atto di contestazione le sanzioni del 70% di cui all’art. 71 del DPR 131/86 (sanzioni la cui entità può essere calibrata secondo i giorni di ritardo nel pagamento);
- il contributo unificato (e le sanzioni se non sono state pagate nemmeno a seguito dell’atto di contestazione) viene riscosso coattivamente mediante ruolo.
Sebbene l’invito al pagamento ex art. 248 comma 1 del DPR 115/2002 non sia espressamente compreso nel novero degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del DLgs. 546/92, secondo la giurisprudenza che, allo stato attuale, appare maggioritaria, esso non solo è impugnabile ma lo è necessariamente.
In sostanza, l’invito viene trattato alla stregua di un accertamento non esecutivo o di un avviso di liquidazione o di recupero del credito di imposta: opera l’autonomia degli atti impugnabili, di conseguenza se non lo si impugna il merito non potrà più essere contestato ricorrendo contro la successiva cartella di pagamento (Cass. 21 ottobre 2024 n. 27205, Cass. 18 ottobre 2024 n. 27064, Cass. 7 luglio 2022 n. 21538).
Addirittura, secondo una interpretazione, sempre della Corte di Cassazione, se non si ricorre contro l’invito ex art. 248 del DPR 115/2002, non sarà nemmeno più possibile sindacare il merito onde sostenere la non applicabilità delle sanzioni nel ricorso contro il relativo atto di contestazione emesso ai sensi dell’art. 16 del DPR 115/2002 (Cass. 18 ottobre 2024 n. 27064, Cass. 7 luglio 2022 n. 21538).
Appare minoritaria la tesi secondo cui l’invito sarebbe sì impugnabile ma in via solo facoltativa (Cass. 17 agosto 2021 n. 22971, Cass. 27 ottobre 2020 n. 23532). Seguendo questa tesi, dal mancato ricorso non discenderebbero limiti alla difesa nel ricorso contro la cartella di pagamento.
Alla luce di quanto esposto, è prudente e necessario ricorrere nei sessanta giorni contro l’invito al pagamento, in modo da essere sicuri di poter contestare il merito della pretesa.
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