Integra la distrazione l’uso per interessi privatistici dei beni di un’immobiliare fallita
Risponde di bancarotta per distrazione l’amministratore che impiega gli immobili per finalità estranee all’interesse della società
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 30215/2025, ha stabilito che integra la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale (ex artt. 216 comma 1 n. 1 e 223 comma 1 del RD 267/42) l’amministratore di una società immobiliare fallita che abbia impiegato gli immobili per finalità estranee all’interesse della società o in vista di un’incongrua controprestazione o che rinunci all’esazione dei crediti commerciali in pregiudizio della massa dei creditori.
Si evidenzia, infatti, come, nella bancarotta fraudolenta per distrazione, la locuzione legislativa “suoi beni” si riferisca a tutti gli elementi del patrimonio dell’imprenditore – consistenti in beni materiali suscettibili di utilizzazione o trasformazione immediata, diritti di credito, beni strumentali e beni futuri, che non si riducano a mere aspettative – purché valgano a integrare quel complesso di rapporti giuridici, valutabili economicamente, di cui è titolare l’imprenditore medesimo, con la correlata possibilità che sui medesimi incida l’illecita manomissione ai danni dei creditori (a favore dei quali l’art. 2740 c.c. attribuisce un diritto di garanzia sul patrimonio del debitore).
Rispetto a ciò, allora, si osserva come il canone delle locazioni costituisca “frutto civile”, ai sensi dell’art. 820 comma 3 c.c., che si acquista giorno per giorno, in ragione della durata del diritto (ex art. 821 comma 3 c.c.).
Tra gli impieghi propri dell’attività di una società immobiliare rientra la dazione in locazione del bene immobiliare, produttivo, per il carattere oneroso del negozio, di “frutti civili” (i canoni di locazione, presenti e futuri) correlati al perseguimento dell’oggetto sociale.
Una destinazione dell’immobile, di proprietà della società, non strumentale al conseguimento dell’oggetto sociale e che, anzi, si traduca nel soddisfacimento di insignificanti interessi privatistici, costituisce operazione distrattiva penalmente rilevante a norma dell’art. 216 comma 1 n. 1 del RD 267/42; si tratta, infatti, di un autentico “distacco” del bene di proprietà dell’impresa perché, in quanto suscettibile di “utilizzazione” economica – in vista degli scopi sociali, presenti e futuri – viene dirottato verso fini estranei a quelli propri dell’ente.
Nulla muta, peraltro, anche a voler inquadrare le condotte in questione nella nozione di “dissipazione”, che presenta pari rilevanza penale e che è intesa come dissolvimento o sperpero dei beni dell’impresa o del loro valore per l’appagamento di bisogni voluttuari o fortemente eccentrici rispetto alle effettive esigenze dell’azienda. La giurisprudenza di legittimità, infatti, è consolidata nel ritenere che non viola il principio di correlazione con l’accusa la sentenza che condanni l’imputato del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per una delle condotte alternativamente previste dalla norma incriminatrice e diversa da quella indicata in imputazione, purché quest’ultima contenga la descrizione, anche sommaria, del comportamento addebitato (cfr. Cass. n. 37920/2010).
Inoltre, prosegue la Suprema Corte, rientrano in una patologica attività d’impoverimento delle risorse dell’impresa in danno dei creditori anche le ingiustificate omesse riscossioni di crediti commerciali, poiché oggetto del depauperamento è il patrimonio in senso lato, comprensivo non solo dei beni materiali ma anche di entità immateriali, fra cui rientrano le ragioni di credito che concorrono alla formazione dell’attivo patrimoniale. Questa inerzia, inoltre, “risalta” maggiormente nella sua connotazione fraudolenta quando il beneficiario del bene di proprietà della società, e della mancata esazione del credito, sia un suo amministratore o suoi prossimi congiunti, oppure entità imprenditoriali a essi riconducibili.
D’altra parte, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esercizio delle azioni riconosciute alla curatela. Ne consegue che costituisce condotta idonea a integrare un fatto distrattivo, riconducibile all’area d’operatività dell’art. 216 comma 1 n. 1 del RD 267/42, anche l’affitto dei beni aziendali per un canone incongruo.
Quanto all’elemento psicologico, infine, si ricorda come esso consista nel dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Nel caso di specie, quindi, il dirottamento di beni aziendali a proprio vantaggio, secondo le caratteristiche sopra ricordate, risulta annoverabile tra gli indicatori di fraudolenza che, estranei a criteri di ragionevolezza imprenditoriale, depongono per la prova della coscienza e volontà di compromissione delle aspettative dei creditori sociali.
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