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I creditori pregiudicati dal concordato possono opporsi alla sua omologazione

Il silenzio del giudice delegato sulla domanda tempestiva di insinuazione equivale al rigetto

/ Antonio NICOTRA

Lunedì, 1 dicembre 2025

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La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18082/2024, ha stabilito che i creditori non (ancora) insinuati al momento del deposito della proposta di concordato fallimentare (ma aventi, ex art. 101 ultimo comma del RD 267/42, diritto d’azione) subiscono un pregiudizio in conseguenza dell’omologazione che preveda la limitazione di responsabilità del terzo proponente, potendo, all’esito del relativo decreto, far valere le proprie pretese, ex art. 124 comma 4 del RD 267/42, nei confronti del solo debitore (il quale, anche nel caso della limitazione della responsabilità del proponente, continua a rispondere per l’intero e nella misura originaria verso gli altri creditori; Cass. n. 25924/2022) nei limiti in cui lo stesso sia in grado di ricostruire in futuro un patrimonio aggredibile.

In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’art. 124 comma 4 del RD 267/42, facendo riferimento alla possibilità del terzo proponente di limitare gli impegni assunti con il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta, consente di escludere dal relativo ambito soggettivo gli altri creditori, senza distinguere tra i creditori chirografari e quelli privilegiati (Cass. n. 31107/2023).

Tali creditori, pertanto, sono pregiudicati dal concordato così proposto e, quindi, sono portatori di un interesse ad opporsi alla sua omologazione, facendo valere gli eventuali vizi che inficiano la relativa procedura, per impedire il trasferimento al proponente del (residuo) attivo fallimentare acquisito e ottenere, attraverso la prosecuzione del fallimento, la possibilità di partecipare ai riparti del ricavato dalla liquidazione di quell’attivo, eseguita dal curatore.

Tuttavia, l’art. 129 comma 2 del RD 267/42, stabilendo che l’opposizione all’omologazione del concordato fallimentare può essere proposta “da parte di qualsiasi interessato”, presuppone che il giudice del relativo procedimento accerti, in concreto, “l’incidenza negativa del concordato, rispetto al fallimento, sulla situazione giuridica di cui l’opponente è titolare”, ovvero l’opponente, per opporsi al concordato, deve prospettare lo “svantaggio” che la sua “posizione sostanziale” subirebbe dalla soluzione concordataria e non, invece, dal fallimento (Cass. nn. 22045/2016 e 31402/2022).

In tema di verifica dello stato passivo, il silenzio del giudice delegato sulla domanda tempestiva di ammissione di un credito assume valore implicito di rigetto e, pertanto, il creditore, al fine di evitare il formarsi di una preclusione, ha l’onere di proporre avverso tale rigetto opposizione allo stato passivo, ex art. 98 del RD 267/42, con la conseguente inammissibilità della successiva domanda di insinuazione tardiva fondata sul medesimo credito (Cass. n. 7500/2019; cfr., in materia di liquidazione coatta amministrativa, la Cass. SS. UU. n. 6060/2015).

In senso contrario, non può invocarsi il principio per cui il giudice delegato, potendo formare lo stato passivo e renderlo esecutivo solo dopo l’esame di tutte le domande presentate tempestivamente, non possa adottare, all’esito di ciascuna delle udienze in cui il procedimento si sia articolato, altrettanti decreti di esecutività, i quali, ove erroneamente emessi, devono ritenersi tamquam non essent (Cass. n. 1179/2018).

Tale principio trova applicazione esclusivamente nel caso in cui il giudice delegato abbia pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo limitatamente alle domande (tempestive o tardive) di ammissione sulle quali abbia deciso in udienza, rinviando l’esame delle altre (Cass. n. 3054/2021). Per contro, si deve escludere, ex art. 96 comma 4 del RD 267/42, che, in relazione alle domande esaminate nella prima udienza e nelle successive eventuali di rinvio, possano essere adottati altrettanti provvedimenti di esecutività (Cass. n. 14099/2016).

Diverso è il caso in cui il giudice delegato abbia emesso il decreto di esecutività all’esito dell’(ultima) udienza in cui si sia articolato il giudizio di verificazione, senza disporre alcun rinvio per l’esame delle altre domande proposte, sulle quali, semplicemente, abbia omesso di pronunciare.

Il decreto di esecutività, d’altra parte, è suscettibile di correzione da parte del giudice delegato soltanto nel caso, ex art. 98 ultimo comma del RD 267/42, in cui lo stato passivo contenga un errore materiale.
Tale errore non è configurabile nel caso in cui il giudice delegato ometta di pronunciare su una domanda, così incorrendo in un vizio processuale che si converte, ex art. 161 c.p.c., in motivo d’opposizione, da proporre al tribunale nei termini e nelle forme previste dagli artt. 98 e 99 del RD 267/42.

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