Cassazione in fuorigioco sul Presidente del CdA dipendente
Non condivisibile la presunzione assoluta di incompatibilità sancita dall’ordinanza n. 5318/2025
Recentemente, la Suprema Corte, nell’ordinanza n. 5318/2025, ha enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di imposte sui redditi, sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente” (cfr. anche Cass. n. 36362/2021).
Si tratta di un principio che, a sommesso avviso di chi scrive, non è condivisibile nella parte in cui se ne estende l’applicazione anche alla carica di Presidente del CdA.
Anzi, a dire il vero, l’enunciato sembra frutto di una non puntuale considerazione di alcuni precedenti interventi in materia della Suprema Corte (comunque citati).
Nelle motivazioni della decisione in commento, infatti, si sottolinea come, secondo i giudici di legittimità, sarebbe del tutto compatibile la posizione di socio/dipendente di società di capitali con quella di amministratore della stessa, tranne nelle “ipotesi di amministratore unico, presidente del consiglio di amministratore o di socio «sovrano»”, riferendo tale puntualizzazione alla Cassazione n. 11161/2021.
Questa ordinanza, tuttavia, sottolinea più volte come la Suprema Corte consideri del tutto compatibile la posizione di socio amministratore di società di capitali con quella di lavoratore subordinato, tranne nelle ipotesi di amministratore unico o di socio “sovrano”. Il riferimento al Presidente del CdA è collocato solo tra i motivi di ricorso formulati dall’Agenzia delle Entrate.
Addirittura, evidenzia la Cassazione n. 11161/2021, anche la qualità di socio e amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è da ritenere compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, seppure di livello dirigenziale, ove il vincolo di subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio dirigente alle direttive e al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci (cfr. Cass. nn. 7465/2002 e 5944/91).
La qualità di amministratore di una società di capitali è, dunque, compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, ove sia accertato, in concreto, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento a effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare. Potendo, in astratto, coesistere nella stessa persona la posizione di socio di una società e quella di lavoratore subordinato della medesima, anche un socio componente del CdA di una società può essere legato a quest’ultima da un rapporto di lavoro subordinato, purché, appunto, risulti assoggettato a un potere disciplinare e di controllo da parte degli altri componenti dell’organo cui egli appartiene; diversamente, l’osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
Il rapporto organico tra amministratore e società di capitali, quindi, non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra il primo e la seconda. “Solo ... nel caso di amministratore unico di società di capitali datrice di lavoro non è configurabile il vincolo di subordinazione perché mancherebbe la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla” (così, testualmente, Cass. n. 11161/2021).
Si osserva, altresì, come in diverse occasioni la Suprema Corte abbia espressamente escluso una incompatibilità assoluta tra la posizione di Presidente di CdA e di lavoratore subordinato, parificando tale carica a quella di qualsiasi altro componente dell’organo gestorio, con la conseguenza che anche rispetto a esso sarebbe configurabile un rapporto di lavoro subordinato con la società a condizione che sia provata l’esistenza del vincolo di subordinazione (cfr. Cass. nn. 18414/2013, 11978/2004 e 1793/96).
Si tratta, peraltro, di una soluzione condivisa anche dal messaggio INPS n. 3359/2019, che sottolinea, altresì, come essa non possa essere contraddetta neppure dall’eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi.
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