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Domenica, 27 aprile 2025

OPINIONI

Sulla rimodulazione dei crediti da superbonus non si può fare confusione tra facoltà e obbligo

Gli emendamenti al DL 39/2024 prevedono solo l’opzione di allungare da 4 a 10 anni i tempi di recupero delle detrazioni e dei crediti superbonus

/ Enrico ZANETTI

Lunedì, 29 aprile 2024

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Dalla metà di aprile, quando è stato approvato il DEF 2024 con una curva del rapporto Debito Pubblico/PIL crescente, anziché calante, negli anni 2025, 2026 e 2027, si è iniziato a leggere sui giornali di ipotesi di rimodulazione da 4 a 10 anni dei tempi di recupero in compensazione dei crediti d’imposta derivanti dalle opzioni di sconto e cessione esercitate dai contribuenti su spese agevolate con il superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020.

Una rimodulazione che, pur non modificando di un euro l’ammontare complessivo di “scaricamento a debito pubblico” del superbonus, alleggerirebbe il peso di questo scaricamento sulle tre annualità “incriminate”, distribuendolo anche sulle sette annualità successive.

La presentazione in questi giorni di numerosi emendamenti parlamentari, nell’ambito dell’iter di conversione del DL 39/2024, volti a introdurre norme che prevedono esattamente questa rimodulazione, ha indotto numerosi commentatori ad affermare che sul punto vi sia una sostanziale concordanza di vedute delle forze politiche.
In verità, tutto ciò dimostra una volta di più come ormai da anni il dibattito e l’informazione sul tema del superbonus e degli altri bonus edilizi, nonché delle opzioni di sconto e cessione, viene portato avanti con un pressapochismo a tratti imbarazzante anzitutto da coloro che dovrebbero contribuire a fare informazione.

Gli emendamenti parlamentari che sono stati presentati al DL 39/2024 prevedono tutti l’allungamento da 4 a 10 anni dei tempi di recupero delle detrazioni e dei crediti superbonus quale scelta opzionale rimessa al contribuente che ne ha la titolarità: se vuole opta per l’allungamento, se non vuole mantiene la caratteristica quadriennale.
Una norma di questo tipo (per altro già introdotta un anno fa relativamente a detrazioni e crediti derivanti da spese agevolate sostenute nel 2022) aiuta il contribuente a non perdere parte del beneficio nei casi in cui è “incapiente”, mentre non aiuta affatto il bilancio dello Stato a rimodulare la curva del debito, perché è evidente che l’opzione non verrà esercitata da chi è “capiente” nei quattro anni e, venendo esercitata solo da chi non lo è, consentirà che “pezzi di beneficio”, che sarebbero andati altrimenti perduti, divengano anch’essi debito nei prossimi anni.

Chi mai avesse invece in mente un allungamento dei tempi di recupero dei crediti superbonus per rimodulare la curva del debito pubblico, di quegli emendamenti non saprebbe che farsene, perché il raggiungimento del suo obiettivo passerebbe per un allungamento obbligatorio per legge, non opzionale su decisione rimessa al contribuente.

Chiarito questo primo  equivoco, il passo successivo è chiedersi se, ove mai venisse deciso (e tutto appare ben lungi dall’essere deciso), questo ipotetico allungamento obbligatorio da 4 a 10 anni riguarderebbe solo i crediti superbonus “di nuova formazione”, oppure anche tutti, o almeno parte, di quelli già formati nei cassetti fiscali delle imprese edili che hanno concesso gli sconti in fattura (e non sono ancora riuscite “monetizzati”) e delle banche e degli altri soggetti che li hanno già acquistati da quelle imprese edili o direttamente dalle famiglie che hanno sostenuto le spese senza sconto in fattura del fornitore.
Nel primo caso (rimodulazione solo per i crediti “nuovi”), l’aiuto al bilancio dello Stato sarebbe invero molto modesto, perché ormai siamo alle battute conclusive ed è lo stock di crediti superbonus già esistenti a incidere significativamente sulla dinamica del debito pubblico.
Nel secondo caso (rimodulazione anche dei crediti “già esistenti”), l’aiuto al bilancio dello Stato potrebbe essere apprezzabile, ma questo non avverrebbe “gratis” (niente soluzioni “win win” nel difficile mondo superbonus), perché implicherebbe una svalutazione (cioè una perdita economica) di circa il 15% del valore dei crediti superbonus nei portafogli e nei bilanci delle imprese edilizie che hanno concesso gli sconti e delle banche e degli altri soggetti che li avevano acquistati offrendo un prezzo commisurato a una prospettiva di recupero finanziario a quattro anni.

In circostanze che sono oggettivamente molto complesse, ciascuno può avere una propria legittima opinione sulla opportunità di talune scelte, nell’eterno “trade off” tra rispetto dei vincoli di finanza pubblica da un lato e rispetto della credibilità dello Stato nell’onorare gli impegni assunti verso cittadini, imprese e intermediari finanziari dall’altro, ma è opportuno che i termini della questione siano chiari a tutti, non solo agli addetti ai lavori.
Perché un grave problema che è sorto a causa di una altrettanto grave sottovalutazione alla fine del 2021 degli impatti finanziari della proroga del 110%, difficilmente potrà essere risolto nel modo più efficiente se vi dovesse essere in questi giorni un’altra sottovalutazione, questa volta degli impatti, non soltanto finanziari, di eventuali rimodulazioni “forzose” di crediti vantati verso lo Stato da imprese e investitori finanziari.

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