Utilizzabili i parametri forensi per il compenso anche se non tutti gli arbitri sono avvocati
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 20349/2024, ha ribadito che, laddove il giudice si trovi a dover liquidare, ex art. 814 c.p.c., i compensi spettanti a un collegio arbitrale composto da tre avvocati, ciascun componente del collegio ha diritto al compenso integrale per l’attività svolta, non potendosi liquidare un compenso unico da suddividere in tre parti.
Si applica, infatti, l’art. 23 del DM 55/2014, ai sensi del quale, se più avvocati sono stati incaricati di prestare la loro opera nel medesimo affare, a ciascuno di essi si liquidano i compensi per l’opera prestata, dovendosi ritenere che gli importi indicati nella tabella 26 si riferiscano al compenso (medio) dell’arbitro unico.
Tale interpretazione, del resto, è confermata dalle modifiche introdotte dal DM 37/2018 all’art. 10 del DM 55/2014, il quale, nella versione attualmente vigente, dispone che per i procedimenti arbitrali rituali e irrituali “a ciascun arbitro” sia dovuto il compenso previsto nella relativa tabella allegata.
La Suprema Corte precisa, poi, che tali principi, già enunciati con riguardo a collegi arbitrali composti di soli avvocati, possono applicarsi anche in caso di collegi “misti”, ossia collegi in cui almeno uno degli arbitri non svolga la professione di avvocato.
In caso di collegio arbitrale a composizione mista, infatti, non sussiste l’obbligo di applicare la tariffa forense, ma quest’ultima può comunque essere applicata in via equitativa dal giudice, che è libero di scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri di valutazione equitativi più adeguati all’oggetto e al valore della controversia, oltre che alla natura e all’importanza dei compiti attribuiti agli arbitri.
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