Possibile danno per la continuità aziendale con atti impositivi subito esecutivi
Gentile Redazione,
nel decreto di riforma della riscossione, gli atti impositivi e sanzionatori diventeranno immediatamente esecutivi.
Dal punta di vista amministrativo, il DL 78/2010, all’art. 29 comma 1 lettera c), prevede già che, in caso di fondato pericolo per la riscossione, questa sia effettuata per l’intero ammontare, interessi e sanzioni irrogate comprese.
L’unico rimedio per non perdere i propri diritti nell’impugnazione dell’atto amministrativo (cioè avviso di accertamento) è la sospensione richiesta ex art. 47 comma 1 del DLgs. 546/92, nel ricorso avanti la C.G.T.
L’art. 47 citato, nel comma 4, prevede ora, con effetto dal giorno successivo all’entrata in vigore del DLgs. 220/2023, l’impugnabilità del diniego di sospensione della C.G.T. di primo grado.
Sembrerebbe quindi che la giusta tutela del contribuente sia equamente contemperata dall’altrettanto giusta tutela dell’Erario, sulla base del c.d. principio della “parità delle armi”.
Ci si deve domandare, però, come rispettare il disposto dell’art. 2423-bis c.c., interpretato alla luce dell’OIC 11 § 22 e dello IAS 1 § 25 e 26, riguardo al c.d. precetto della continuità aziendale, in ipotesi di pretese tributarie di entità considerevole rispetto alla produzione di liquidità della gestione, qualora prima l’Amministrazione finanziaria e poi la C.G.T. di primo grado e la C.G.T. di secondo grado, adita per l’impugnazione ex art. 47 comma 4 del DLgs. 546/92, non sospendano la riscossione e, successivamente nel merito, vengano riconosciute le ragioni su cui è fondato il ricorso.
Resta fermo che l’Amministrazione finanziaria, nel richiedere la riscossione totale del proprio “credito” anche se a titolo provvisorio, deve rispettare il disposto degli artt. 7-bis e 7-ter dello Statuto del contribuente riformata dal DLgs. 219/2023, nonché l’art. 7 comma 5-bis del DLgs. 546/92 nel successivo giudizio contenzioso.
Nel frattempo, subendo gli atti esecutivi poi emessi e considerati i tempi non colpevolmente brevi della giustizia tributaria difficilmente impugnabili per vizi propri, il ricorrente diventerà titolare di un patrimonio sociale di beni materiali e immateriali, oltre che di crediti, al netto dei debiti, fondato in ipotesi di negata sospensione, sull’exit value dei medesimi, invece che sul loro entry value, mutando di conseguenza i criteri di valutazione nel frattempo adottati.
Certamente, nell’ipotesi appena sollevata, il problema sussisterà solo se il ricorrente sarà “ancora in vita” all’esito del giudizio di merito, nonostante gli atti immediatamente esecutivi che l’hanno inciso, impedendo il normale svolgimento dell’attività aziendale (pignoramenti presso terzi) o anche soltanto cautelari (fermi e ipoteche). Tali atti, comunque, pesantemente intaccano il c.d. capitale relazionale con fornitori, clienti, banche, dipendenti, ecc., peraltro non iscrivibile in bilancio, ma necessario anche per valutare la sussistenza della continuità aziendale e/o il suo possibile ripristino, con danno evidente anche agli stakeholder “esterni” all’azienda.
Ma chi rimborserà il danno e come lo si valuterà?
Forse questo aspetto, che non attiene alla lodevole lotta all’evasione ma solo alla doverosa tutela del contribuente, secondo il principio costituzionale di buon funzionamento della P.A. e della giustizia tributaria, non è stato considerato nell’attuale riforma, pensata per modernizzare l’Italia mettendo sullo stesso piano di tutela la P.A. e il cittadino, anche in adeguamento ai canoni europei.
Ezio Tizzoni
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Vercelli