L’inesistenza delle operazioni si può dimostrare anche con elementi indiziari
La prova contraria, in capo al contribuente, deve attestare la concreta esecuzione della prestazione
La distribuzione dell’onere della prova negli accertamenti basati su operazioni inesistenti riveste un ruolo centrale.
Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, tale onere grava su entrambe le parti, seppur con intensità e contenuti differenti.
Quando l’ente impositore contesta la falsità di una fattura, deve dimostrare che l’operazione non è stata effettivamente realizzata (Cass. 16 luglio 2020 n. 15155 e 6 aprile 2020 n. 7693).
Spetta invece al contribuente provare la legittima origine della detrazione o del costo, altrimenti indeducibile, e la propria inconsapevolezza di aver partecipato a un’operazione fraudolenta (Cass. 6 maggio 2021 n. 11985 e 2 aprile 2020 n. 7647).
L’Amministrazione finanziaria può fondare la prova anche su elementi indiziari e presuntivi (Cass. 7 maggio 2021 n. 12135 e 14 maggio 2020 n. 8919).
In materia di sponsorizzazioni, ad esempio, la Cassazione ha ritenuto idoneo l’indizio circa la sproporzione del corrispettivo corrisposto rispetto ai valori di mercato (Cass. 22 maggio 2025 n. 13737).
Ancora, è stata considerata decisiva la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura risultasse privo di idonea struttura organizzativa, come ad esempio i locali, i mezzi, il personale o le utenze (Cass. 26 febbraio 2024 n. 5001).
Il contribuente, per contro, non può limitarsi a richiamare la regolarità formale di scritture contabili o pagamenti, trattandosi di circostanze facilmente simulabili. È necessario fornire elementi concreti che attestino la reale esecuzione delle operazioni (Cass. 18 luglio 2024 n. 19842 e 6 maggio 2021 n. 11985).
Un’alternativa difensiva consiste nel dimostrare che l’operazione era solo soggettivamente inesistente: in tal caso il bene o servizio è stato effettivamente reso, ma da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura.
In questa ipotesi i costi possono essere dedotti, a condizione che siano provati i requisiti sostanziali di effettività, inerenza e certezza dell’operazione (Cass. 2 aprile 2025 n. 8716).
Rimane, invece, precluso al cessionario o committente dell’operazione fittizia il diritto alla detrazione dell’IVA in quanto la materiale inesistenza dell’operazione esclude di per sé la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 19 comma 1 del DPR 633/72 (cfr. Corte di Giustizia Ue 27 giugno 2018 cause riunite C-459/17 e C-460/17 e 4 luglio 2013 causa C-572/11).
Tali principi restano tendenzialmente validi anche alla luce del “nuovo” art. 7 comma 5-bis del DLgs. 546/1992, introdotto dalla L. 130/2022, sebbene sia stato rafforzato, a opera del legislatore, l’onere della prova gravante sull’ente impositore.
La norma, per la prima volta, stabilisce espressamente l’obbligo per il Fisco di esibire in giudizio le prove poste a fondamento della pretesa fiscale, anche in relazione a eventuali costi indeducibili indicati in dichiarazione.
L’Amministrazione finanziaria è pertanto onerata di fornire la prova dei fatti accertati con l’atto impugnato, mentre il contribuente è gravato dell’onere di confutare i fatti accertati, ed eventualmente di dimostrare fatti ulteriori rispetto a quelli accertati, che riducono o annullano la pretesa fiscale.
Con riferimento alle operazioni inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare l’inesistenza oggettiva delle operazioni documentate da fatture, ferma restando l’opportunità che, in ottica difensiva, il ricorrente dimostri subito la propria buona fede al fine di “vincere” l’accertamento.
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