Società «schermo» non significa necessariamente società esterovestita
Con la sentenza n. 16449/2025 la Cassazione è intervenuta in materia di esterovestizione ex art. 73 comma 3 del TUIR in relazione al caso di una società di diritto estero con un amministratore di fatto residente in Italia.
La Suprema Corte parte dal principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, ma che tale principio non opera nell’ipotesi di società artificiosamente costituita.
Nel caso di specie, viene accertato che l’amministratore di fatto non risulta l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società. Pertanto, la pretesa impositiva può essere avanzata esclusivamente nei confronti della società, e non della persona fisica.
Al riguardo si specifica che l’accertamento della residenza fiscale effettiva di una società nel territorio nazionale non comporta necessariamente anche quello della natura fittizia delle articolazioni che la stessa abbia in un diverso Stato. In ogni caso, però, anche l’accertamento della natura fittizia della sede di una società all’estero si traduce nell’accertamento della residenza dello stesso ente in Italia e nel suo assoggettamento all’imposizione nazionale, non anche necessariamente nella qualificazione della medesima società, nel suo complesso, come mero schermo giuridico.
Si afferma che “la fictio iuris della sede estera della società non equivale, in sintesi, alla fictio relativa all’esistenza stessa della società, quale autonomo soggetto, centro d’interessi, possessore del proprio reddito e, come tale, soggetto passivo dell’imposizione nazionale”.
La dimostrazione dell’esterovestizione di una società di diritto estero non può dunque fondarsi sull’eventuale fittizietà di tale soggetto collettivo.
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