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Sabato, 19 luglio 2025 - Aggiornato alle 6.00

LAVORO & PREVIDENZA

L’incapace di intendere o di volere può impugnare il licenziamento entro 240 giorni

Impugnazione perfezionabile direttamente con deposito del ricorso o con comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione

/ Giada GIANOLA

Sabato, 19 luglio 2025

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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 111 depositata ieri, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 comma 1 della L. 604/66 con riferimento alla specifica ipotesi del lavoratore in stato di incapacità al momento della ricezione della comunicazione del licenziamento.

La Consulta ha, in particolare, dichiarato tale norma incostituzionale nella parte in cui non prevede l’inoperatività dell’impugnazione stragiudiziale, che deve avvenire entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, qualora al momento della ricezione di tale comunicazione, o in pendenza dell’indicato termine di 60 giorni, il lavoratore versi in una condizione di incapacità di intendere o di volere. In tali ipotesi, per la Corte Costituzionale, il lavoratore può direttamente impugnare il licenziamento entro il complessivo termine di decadenza di 240 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, depositando il ricorso o comunicando alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato.

La relativa questione di legittimità era stata ritenuta dalle Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 23874/2024, rilevante e non manifestamente infondata. Si dubitava della legittimità costituzionale dell’indicata norma nella parte in cui il termine di decadenza per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento viene fatto decorrere dalla ricezione dell’atto anche nei casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato processualmente accertata, e non invece dalla data di cessazione dello stato di incapacità (si veda “Impugnazione del licenziamento in caso di incapacità alla Consulta” del 6 settembre 2024).

Il caso di specie riguardava infatti una lavoratrice che al momento della ricezione della lettera di licenziamento stava attraversando un periodo di incapacità di intendere e di volere a causa di una patologia psichica, documentata e confermata con la consulenza tecnica d’ufficio disposta giudizialmente. La stessa non aveva quindi impugnato il licenziamento entro il termine di 60 giorni dal suo ricevimento, ma lo aveva fatto al cessare dello stato di incapacità.

Nella sentenza n. 111/2025 in esame si ribadisce il principio ormai consolidato secondo cui la comunicazione di licenziamento è un atto recettizio e, in quanto tale, si presume conosciuta, ai sensi dell’art. 1335 c.c., nel momento in cui viene recapitata all’indirizzo del destinatario, e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza.
Con la decisione in commento, tuttavia, l’indicata presunzione di conoscibilità stabilita dall’art. 1335 c.c. viene in parte superata in presenza di uno stato di incapacità del soggetto destinatario.

Nella sentenza si legge infatti che il termine di 60 giorni previsto dall’art. 6 comma 1 della L. 604/66 può ritenersi normalmente adeguato al tipo di atto il cui compimento è richiesto a pena di decadenza, vale a dire l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, che può validamente compiersi mediante l’invio al datore di lavoro, anche tramite un’associazione sindacale, di una comunicazione scritta in cui il lavoratore deve manifestare, senza particolari formalità, la volontà di impugnare il licenziamento.

Tale adempimento, però, può diventare particolarmente gravoso quando al momento della ricezione della comunicazione del recesso, o comunque in pendenza del termine di decadenza di 60 giorni, il lavoratore si trovi in uno stato di incapacità di intendere e di volere per una patologia o per altra causa a lui non imputabile, soprattutto se a tale incapacità si aggiunga una situazione di marginalizzazione sociale.

Del resto, l’ordinamento non contempla alcun rimedio tardivo che consenta all’interessato di far valere l’illegittimità del licenziamento dopo aver recuperato la pienezza delle facoltà intellettive e volitive.
Pertanto, così come formulata, la norma è stata ritenuta manifestamente irragionevole, in quanto in contrasto con l’art. 3 Cost. e in violazione del diritto al lavoro e alla sua tutela (artt. 4 comma 1, 35 comma 1 e 24 comma 1 Cost.).

Per porre rimedio a tale irragionevolezza, la Corte Costituzionale non è però intervenuta sulla norma prevedendo che il termine di decadenza per l’impugnazione stragiudiziale debba decorrere dalla data di cessazione dello stato di incapacità. Il suo intervento è consistito nel sollevare dall’onere dell’impugnazione stragiudiziale il lavoratore incapace di intendere e di volere, facendo rimanere fermo “lo sbarramento finale” costituito dal complessivo termine massimo per l’impugnazione giudiziale di 240 giorni, dato dalla somma del termine per l’impugnazione stragiudiziale (60 giorni) e del successivo termine per il deposito del ricorso, anche cautelare, o per la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato (180 giorni).

Con tale soluzione si sono così preservate le specifiche esigenze di celerità e sicurezza dei rapporti giuridici, con il verificarsi della decadenza dall’impugnazione giudiziale del licenziamento entro lo stesso termine.

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