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Venerdì, 1 agosto 2025 - Aggiornato alle 6.00

LAVORO & PREVIDENZA

Alle Sezioni Unite la natura retributiva del contributo al Fondo di previdenza complementare

Al riconoscimento della natura retributiva consegue la spettanza del privilegio ex art. 2751-bis n. 1 c.c.

/ Federico ANDREOZZI

Venerdì, 1 agosto 2025

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Con l’ordinanza interlocutoria n. 22066 di ieri, 31 luglio 2025, la Corte di Cassazione ha trasmesso alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione vertente sulla qualificazione retributiva del contributo complessivamente dovuto al Fondo di previdenza complementare e sulla conseguente spettanza del privilegio di cui all’art. 2751-bis n. 1 c.c.

La controversia sorgeva in seguito al rigetto mosso dal Tribunale di Reggio Emilia avverso l’opposizione proposta dalla Cassa Edili della Provincia di Modena contro il decreto che aveva reso esecutivo lo stato passivo di un’impresa, respingendo la domanda diretta a ottenere l’ammissione, con privilegio ex art. 2751-bis n. 1 c.c., del credito vantato, a titolo di contribuzione dovuta dal datore di lavoro per la previdenza complementare. In particolare, il Tribunale dichiarava la non spettanza del menzionato privilegio, in quanto il credito traeva origine da un rapporto contrattuale diverso da quello di lavoro subordinato, senza essere legato a quest’ultimo da alcun nesso di corrispettività; la Cassa Edili ricorreva quindi in Cassazione.

Investiti della controversia, i giudici di legittimità richiamano l’evoluzione giurisprudenziale in materia, partendo da quanto statuito dalle Sezioni Unite che, con la pronuncia n. 4684/2015, avevano affermato la natura previdenziale, e non retributiva, dei versamenti del datore di lavoro nei Fondi di previdenza complementare. I giudici avevano in tale sede chiarito come la nozione di retribuzione ponesse un requisito fondamentale costituito “dall’esistenza di un effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore, e dalla esigenza che le somme erogate si trovino in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa”.

Detto requisito non si ravviserebbe nei Fondi di previdenza integrativa, per i quali l’obbligo del datore di lavoro nasce da un ulteriore rapporto contrattuale, distinto dal rapporto di lavoro subordinato e finalizzato a garantire il conseguimento di una pensione integrativa rispetto a quella obbligatoria; esso non modifica, quindi, i diritti e gli obblighi che scaturiscono dal rapporto di lavoro. Mancherebbe, in altri termini, un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa: la contribuzione non entra a far parte del patrimonio del lavoratore, che può solo pretenderne il versamento al Fondo.

Questi principi sono stati fatti propri anche dalla giurisprudenza successiva e, in particolare, proprio con riferimento alla disciplina delle Casse Edili, la Cassazione ha tracciato una distinzione tra le voci retributive (come ratei di ferie, gratifica natalizia e festività), assistite dal privilegio ex art. 2751-bis n. 1 c.c., e i contributi finalizzati al miglior funzionamento delle Casse, e quindi estranei alla nozione di retribuzione (cfr. Cass. n. 20390/2017).

Tuttavia, con la pronuncia n. 18477 del 28 giugno 2023, la Suprema Corte ha nuovamente esaminato la materia, delimitando la portata del principio di diritto reso dalla menzionata pronuncia delle Sezioni Unite. In detta sede, infatti, i giudici di legittimità hanno affermato come, fino al compimento del versamento da parte del datore di lavoro, la contribuzione o le quote di TFR conferite, accantonate presso lo stesso datore, abbiano natura retributiva, mentre la prestazione previdenziale integrativa erogata al lavoratore dal Fondo di previdenza complementare ha natura previdenziale.
Nondimeno, la mancata erogazione, da parte del datore di lavoro insolvente, della contribuzione o delle quote di TFR accantonate su mandato del lavoratore, determina il ripristino della disponibilità in capo al lavoratore di tali risorse, di natura retributiva, in quanto queste ultime assumono natura previdenziale soltanto all’attuazione del vincolo di destinazione, in forza dell’adempimento del mandato conferito dal lavoratore al datore.

È, dunque, con l’attuazione del vincolo di destinazione che il credito di natura retributiva del lavoratore verso il datore di lavoro si tramuta in credito di natura previdenziale verso il Fondo: una diversa interpretazione, volta a negare la titolarità del credito in capo al lavoratore, porterebbe soltanto a ledere quest’ultimo che, “nel momento di massima urgenza” – quale l’insolvenza del suo datore di lavoro –, si ritroverebbe pregiudicato dall’aver conferito al Fondo la contribuzione o quote di TFR.
A fronte di tali arresti, la Corte, con l’ordinanza in commento, decide di sottoporre la questione alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite: infatti, “[l]’incidenza su diritti fondamentali del lavoratore, nel momento di più pressante bisogno legato all’insolvenza del datore di lavoro, e la stessa importanza cruciale che il legislatore assegna alla previdenza complementare esigono una risposta univoca, capace di comporre a sistema le indicazioni, non sempre consonanti, desumibili dall’evoluzione della giurisprudenza”.

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