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IMPRESA

La competitività rende sostenibile la cessione d’azienda nella composizione negoziata

L’art. 22 del Codice della crisi da un lato mira a salvaguardare la continuità, dall’altro garantisce la tutela dei creditori

/ Matteo DE LISE

Martedì, 9 settembre 2025

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Negli ultimi anni la composizione negoziata ha assunto un ruolo di primo piano nella gestione delle crisi d’impresa. Non è solo uno strumento “ponte” verso procedure più invasive, ma un vero e proprio laboratorio in cui si sperimentano soluzioni innovative per salvaguardare valore, occupazione e continuità.

Tra le operazioni più delicate e discusse vi è senza dubbio la cessione dell’azienda o di rami nel corso delle trattative. Si tratta di un passaggio che, pur rimanendo nell’alveo degli atti privatistici, assume connotati paraconcorsuali, perché sorretto da un’autorizzazione del tribunale e dotato di effetti che incidono direttamente sugli interessi dei creditori e sul futuro del complesso aziendale.

L’art. 22 del Codice della crisi è la chiave di volta. La norma consente all’imprenditore di chiedere al giudice l’autorizzazione al trasferimento dell’azienda o di rami con un effetto rilevantissimo: l’esonero per l’acquirente dalla responsabilità solidale per i debiti pregressi, prevista dall’art. 2560 comma 2 c.c.
Il tribunale, però, non concede questo “scudo” a cuor leggero. È tenuto a verificare due condizioni fondamentali: che l’operazione sia funzionale alla continuità aziendale, diretta o indiretta; che assicuri la miglior soddisfazione dei creditori, intesa non come massimo teorico, ma come migliore opzione tra quelle concretamente percorribili. A queste si aggiunge un terzo elemento imprescindibile: il rispetto del principio di competitività nella scelta dell’acquirente.

Il dibattito si concentra proprio su questo punto. Ci si chiede cosa significa rispettare la competitività in un contesto che non è – e non deve essere – concorsuale in senso stretto. La giurisprudenza di merito si sta muovendo con pragmatismo. Alcuni tribunali (Perugia, Brescia, Udine) hanno sottolineato la necessità di procedure competitive anche con prezzo base e possibilità di rilanci. Altri, come il Tribunale di Ferrara (9 giugno 2025), hanno riconosciuto che anche una sola offerta può bastare, purché vi sia stata una pubblicità adeguata, tale da rendere effettivamente contendibile l’asset. Il Tribunale di Milano (aprile 2025), invece, ha ribadito che la competitività non è un optional: va rispettata sempre, ma può essere declinata in forme più agili, purché trasparenti e documentate. In pratica: non serve una gara formale se si dimostra che l’azienda è stata resa conoscibile al mercato e che, a parità di condizioni, l’offerta ricevuta era la migliore disponibile.

La funzione dell’art. 22 è duplice. Da un lato mira a salvaguardare la continuità: cedere l’azienda in blocco, anche a un soggetto terzo, significa mantenere vivo il complesso produttivo, preservando know-how, contratti e soprattutto occupazione. Dall’altro garantisce la tutela dei creditori, perché il prezzo della cessione o le condizioni dell’operazione devono risultare più vantaggiose rispetto a scenari alternativi (liquidazione atomistica, prosecuzione incerta, ecc.). È un equilibrio delicato: non sempre la massima offerta economica coincide con la migliore soluzione. Talvolta la proposta che assicura più continuità – ad esempio mantenendo posti di lavoro o relazioni commerciali strategiche – è anche quella che, nel medio periodo, tutela di più i creditori.

Un parallelo interessante viene dal concordato semplificato (artt. 25-sexies e 25-septies del CCII). Qui la competitività è attenuata: il tribunale si limita a verificare che non vi siano alternative migliori sul mercato, senza imporre gare formali. È un approccio più snello, coerente con la natura liquidatoria di quella procedura, ma che conferma come il principio di competitività non possa mai dirsi del tutto sacrificato.

Sul piano pratico, le migliori esperienze maturate in sede di composizione negoziata suggeriscono alcuni accorgimenti: predisporre una data room, accompagnata da una perizia o stima indipendente; dare pubblicità adeguata all’operazione, anche tramite avvisi o canali mirati; raccogliere manifestazioni di interesse e, se possibile, ottenere una fairness opinion sul percorso seguito. Infine, destinare i proventi della cessione a un conto vincolato, per garantire trasparenza e tracciabilità.

La cessione d’azienda ex art. 22 non è una “scorciatoia”, ma uno strumento sofisticato che consente di coniugare interessi apparentemente contrapposti: da un lato la necessità di attrarre un acquirente serio, dall’altro l’esigenza di garantire correttezza e miglior realizzo per i creditori. La sfida, oggi, è trovare il giusto punto di equilibrio tra sostanza e forma: evitare formalismi inutili che rallentano le operazioni, ma assicurare sempre trasparenza, contendibilità e tutela del ceto creditorio.
In quest’ottica, il principio di competitività non è un vincolo burocratico, ma il vero motore della fiducia. È ciò che rende la cessione non solo legittima, ma anche sostenibile e credibile nel tempo.

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