Sufficiente una valutazione globale per la giustificatezza del licenziamento del dirigente
La categoria dei dirigenti è esclusa dalle norme che regolamentano il licenziamento per gli altri lavoratori
Con l’ordinanza n. 26609/2025, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in materia di licenziamento del dirigente, ribadendo il principio in forza del quale, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento non deve necessariamente costituire una extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto – e nel caso in cui ogni altra misura si rivelerebbe inefficace – potendo invece conseguire a ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro ripone nel dirigente.
Nel dettaglio, il caso di specie sorgeva a fronte di un ricorso presentato da un lavoratore, con qualifica di direttore generale, avverso il licenziamento disciplinare intimatogli dalla datrice di lavoro. Il comportamento contestato al dipendente era legato al negativo esito di una commessa relativa a un appalto per un’opera stradale in Svezia; tra gli addebiti figurava la mancata traduzione di documenti dallo svedese, l’insufficiente istruttoria pre-gara, nonché una sottostima dei costi di cantiere e del personale.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano accolto parzialmente le doglianze del lavoratore, ritenendo il licenziamento privo di giusta causa, ma assistito da giustificatezza; i giudici di merito avevano pertanto respinto la domanda di condanna al pagamento dell’indennità supplementare prevista dalla disciplina contrattuale collettiva. In particolare, per i giudici di seconde cure, non era ravvisabile una giusta causa di recesso, per la molteplicità dei fattori che avevano influenzato il negativo esito della commessa e il concorrente ruolo di numerosi soggetti nelle fasi di previsione ed esecuzione dell’appalto. Al tempo stesso però, la scelta della società di recedere dal rapporto di lavoro per l’inadeguatezza nel coordinamento dell’attività di verifica e di studio dei documenti pre-gara non veniva qualificata come arbitraria, in considerazione delle funzioni del dirigente di responsabile della proposta, esercitate con “una certa dose di imperizia”.
Alla medesima conclusione giungono i giudici di legittimità che, investiti della controversia, rigettano il ricorso del lavoratore.
In primo luogo, la Cassazione ripercorre il dato normativo, specificando come la disciplina che regolamenta e limita il potere di licenziamento per la genericità dei lavoratori, di cui alla L. 604/66 e alla L. 300/70, non trovi applicazione ai dirigenti, secondo quanto previsto dall’art. 10 della stessa L. 604/66. Pertanto, ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità supplementare prevista per tale categoria, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale collettiva di giustificatezza, che si discosta tanto da quella di giustificato motivo ex art. 3 della L. 604/66 quanto da quella di giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 c.c. Ciò in forza della peculiarità della categoria del dirigente, contraddistinta anche per una maggiore vicinanza al datore, che si traduce in una particolare intensità del vincolo fiduciario: tale vincolo è suscettibile di essere leso anche dalla sola inadeguatezza rispetto ad “aspettative riconoscibili ex ante o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro”.
Evidenziato che il confine tra le due fattispecie di recesso privo di giusta causa e recesso assistito da giustificatezza è “sottile, ma chiaro”, la Cassazione sottolinea come la valutazione del caso concreto effettuata dai giudici di merito, mossa all’interno dei parametri di legge, fosse conforme al loro ambito di applicazione e rispondente ai criteri di ragionevolezza.
La Corte aggiunge poi un ulteriore tassello, con riferimento all’estensione della responsabilità del dirigente. Il lavoratore lamentava, infatti, l’erronea applicazione dell’art. 2049 c.c.: tale norma porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità per fatto altrui per i pregiudizi arrecati da un dipendente e non anche a carico di un altro dipendente solo perché sovraordinato rispetto a chi ha commesso il fatto. In merito, la Cassazione chiarisce come il giudice territoriale, lungi dall’aver affermato una generale responsabilità del dirigente per tutte le condotte poste in essere dai soggetti a lui rispondenti, avesse correttamente ricondotto la responsabilità del lavoratore alle attività realizzate dalla struttura diretta dallo stesso e da lui consapevolmente fatte proprie; ciò, procedendo a una valutazione unitaria del comportamento in relazione agli obiettivi dirigenziali.
La Suprema Corte quindi conclude, chiarendo come ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente non sia necessaria una verifica analitica di specifiche condizioni, essendo sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato in conseguenza di circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
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