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IMPRESA

Niente prelazione legale urbana nella procedura fallimentare

Nel contratto stipulato dal curatore è ammissibile la prelazione convenzionale

/ Antonio NICOTRA

Venerdì, 28 novembre 2025

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La Cassazione, con la sentenza n. 28918 del 2 novembre 2025, ha enunciato, in materia di vendita competitiva ex art. 107 del RD 267/42, il principio di diritto secondo il quale la stipula di un contratto di locazione da parte del curatore – autorizzato dal comitato dei creditori, ex artt. 560 comma 2 c.p.c. e 107 comma 2 del RD 267/42 – non determina di per sé, in favore del conduttore, l’operatività della prelazione legale ex art. 38 della L. 392/78. Questa prelazione, per risultare compatibile con le finalità liquidatorie della procedura, deve fondarsi su una previsione espressa, in favore del conduttore, di una clausola di prelazione convenzionale.
La natura straordinaria di tale atto necessita, secondo lo schema delineato per il contratto di affitto d’azienda dall’art. 104-bis comma 5 del RD 267/42, quindi, di un’autorizzazione degli organi della procedura.

La questione, nella specie, aveva a oggetto la sorte della locazione stipulata dal curatore (debitamente autorizzato), dopo il fallimento, a seguito dell’aggiudicazione al terzo dell’immobile locato in una procedura competitiva di liquidazione, con particolare riferimento alla c.d. prelazione urbana, ossia al diritto del terzo prelazionario, a esito della suddetta procedura competitiva, di essere preferito, a parità di condizioni, all’aggiudicatario.
L’istituto della prelazione legale non è incompatibile con le vendite coattive nelle procedure esecutive individuali ovvero nelle vendite competitive ex art. 107 del RD 267/42 in seno al fallimento, per il solo fatto che, alla base del procedimento che dà avvio alla prelazione, vi è la volontà del titolare del bene, a differenza della vendita forzosa, ove il proprietario (che coincide con il debitore esecutato individualmente ovvero in concorso con tutti i creditori) subisce la liquidazione in seguito all’espropriazione.
Tale incompatibilità è esclusa, ad esempio, dalle disposizioni che prevedono, in ipotesi particolari, l’esercizio della prelazione legale anche nell’ambito della vendita coattiva (si pensi, tra le altre, all’art. 3 comma 4 della L. 223/91 sulla prelazione dell’affittuario nella vendita dell’azienda nel fallimento, ovvero alla prelazione artistica-culturale ex art. 59 comma 2 lett. b) del DLgs. 42/2004).

Sul “rapporto” tra prelazione legale e vendita coattiva si è registrato nel tempo un dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Secondo un primo orientamento, la vendita in sede concorsuale ha carattere coattivo, mentre il diritto di prelazione è applicabile solo alla vendita volontaria e ciò consentirebbe di escludere l’applicabilità della prelazione ex lege alla liquidazione concorsuale (Cass. n. 7931/2012).
Sul presupposto che la prelazione costituirebbe un limite o un ostacolo all’attività pubblicistica degli organi fallimentari, la giurisprudenza ha tradizionalmente negato, salvo esplicite deroghe, la compatibilità del diritto di prelazione con le vendite coattive e in particolare con quelle fallimentari. Tale incompatibilità, invece, non sussiste con le prelazioni convenzionali (Cass. n. 17523/2003).

In materia di liquidazione concordataria, la Cassazione a Sezioni Unite n. 14083/2004 aveva ritenuto, invece, ammissibile la prelazione del terzo per l’acquisto di beni rientranti nella massa attiva del concordato liquidatorio, in particolare con riferimento alla prelazione legale ex art. 38 della L. 392/78, prevista a favore del conduttore di immobili adibiti a uso commerciale.
Si era in particolare osservato che, in relazione alla vendita effettuata dal liquidatore in esecuzione del concordato liquidatorio, sarebbe stato consentito l’esercizio del diritto di prelazione nell’acquisto, convenzionalmente attribuito a un terzo dal debitore prima dell’ammissione della procedura, atteso che il rapporto di prelazione non verrebbe meno (mancando nel concordato il richiamo agli artt. 72-83 del RD 267/42) a seguito dell’apertura o della sua omologazione.

Non è, in verità, ricavabile dal sistema normativo un’oggettiva incompatibilità della prelazione con la fase esecutiva del concordato, né la prelazione incide, di per sé, negativamente sugli interessi dei creditori.
La giurisprudenza, d’altra parte, si è pronunciata in tal modo solo in caso di subentro del curatore nel contratto di locazione già pendente al momento del fallimento e tale fattispecie – come rilevano i giudici – è diversa da quella in esame, ove il curatore aveva stipulato, nell’ottica liquidatoria e con la previa autorizzazione del comitato dei creditori, il contratto di locazione con un terzo (Cass. nn. 1808/2013 e 2576/2004).

La ratio dell’art. 38 della L. 392/78 è quella di privilegiare l’impresa al fine di assicurare la funzione sociale della proprietà, mediante l’unificazione della titolarità dell’impresa con la proprietà dell’immobile condotto in locazione, ove esercitata l’attività imprenditoriale.
Tale ultima esigenza potrà essere garantita – nell’ipotesi di contratto “gestorio” stipulato dal curatore, dopo la dichiarazione di fallimento (come nella fattispecie in esame) – solo quando la clausola di prelazione sia stata pattuita tra il curatore (a ciò autorizzato dagli organi della procedura) e il terzo contraente conduttore dell’immobile, ex art. 104-bis comma 5 del RD 267/42.

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