Nell’autoriciclaggio si confisca il prodotto del reato
Non è possibile limitare l’oggetto del provvedimento all’utilità conseguita dall’autoriciclatore
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 38508, depositata ieri, ha stabilito che deve considerarsi corretta la decisione di merito che, ai sensi dell’art. 648-quater c.p., e a fronte del delitto presupposto di bancarotta, disponga la confisca del prodotto del reato di autoriciclaggio costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si tratta, infatti, di una soluzione in linea con la ricostruzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. nn. 22641/2025 e 32176/2024) e pienamente coerente con le indicazioni provenienti dalla legislazione sovranazionale in materia di confisca.
Rispetto a essa, inoltre, non rileva l’eventuale distinzione tra confisca diretta o per equivalente, dal momento che tale misura “assolve ad una funzione che viene rilevata in ragione proprio dell’oggetto che è destinata ad apprendere e non già dell’abito con cui viene vestita”.
A venire in rilievo, come evidenziato, è l’art. 648-quater c.p., nel quale sono prese in considerazione le nozioni di profitto, prezzo e prodotto del reato.
Alla luce di quanto precisato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 9149/96), quindi, si ricorda come il profitto sia costituito dal lucro del reato, ossia dal vantaggio economico che si ricava per effetto della sua commissione.
Il prezzo, invece, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato, costituendo un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commetterlo.
Per prodotto del reato, infine, si intende il suo risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; in particolare, come sottolineato dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 13783/2025, per prodotto del reato deve intendersi l’intero ammontare ricavato dall’operazione illecita.
L’esame della legislazione sovranazionale in tema di confisca (cfr., tra l’altro, la Convenzione europea sul riciclaggio conclusa a Strasburgo nel 1990, la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio conclusa a Varsavia nel 2005, l’art. 2 e il considerando 11 della direttiva 2014/42/Ue e l’art. 12 della direttiva 2024/1260/Ue), inoltre, ne rivela una portata comprensiva non solo del profitto ma anche di quei beni e utilità che, pur non essendo di diretta e immediata derivazione causale dal reato, rappresentano l’investimento del profitto in senso stretto, così includendo qualunque vantaggio economico derivante dall’illecito.
A fronte di ciò – ricordato come qualche incertezza (evidenziata dagli stessi ricorrenti) sussista con riguardo alla nozione di “profitto” confiscabile al riciclatore – la Suprema Corte afferma che la nozione di prodotto dei reati di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio (artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p.), rilevante ex art. 648-quater c.p., risulta modellata non solo sul complesso dei beni oggetto di trasformazione per effetto della condotta illecita, che, in quanto tali, presentano caratteristiche identificative alterate, modificate o manipolate, ma anche sui beni e sui valori che, pur non avendo subito modificazioni materiali, risultano diversamente attribuiti, in termini di titolarità e ai fini delle regole di circolazione, per effetto di operazioni negoziali (cfr. Cass. n. 18184/2024); con riferimento poi alla confisca per equivalente, la nozione si modella sul valore corrispondente alle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, anche se non corrispondenti all’utilità economica tratta dal riciclatore e non appartenenti a quest’ultimo.
Peraltro, tramite i ricordati reati si intende proteggere l’ordine pubblico economico e impedire la circolazione nel libero mercato di beni conseguiti tramite operazioni di trasformazione o sostituzione. Di conseguenza, l’interesse punitivo impone l’eliminazione del frutto dell’operazione di trasformazione o sostituzione dal circuito economico attraverso la confisca del prodotto del reato.
Resta, di contro, esclusa una delimitazione della confisca alle utilità economiche tratte dal riciclatore, perché così facendo si adotterebbe una soluzione in contrasto non solo con la lettera dell’art. 648-quater c.p., ma anche con la chiara volontà del legislatore di reprimere duramente le condotte in questione (con pena più alta di molti dei reati presupposto) e persino quando non si possa procedere a sanzionare il reato presupposto per la mancanza di una condizione di procedibilità (attraverso il richiamo all’art. 648 ultimo comma c.p., contenuto negli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p.).
Senza contare che per queste fattispecie è possibile anche la c.d. confisca allargata di cui all’art. 240-bis c.p.
In conclusione, afferma la decisione in commento, una delimitazione dell’oggetto della confisca ex art. 648-quater c.p. all’utilità conseguita dal riciclatore (o dall’autoriciclatore) finirebbe per dar vita a una interpretazione abrogante della norma e poco coerente con il nostro ordinamento giuridico e con il diritto sovranazionale.
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