Sul redditometro l’Agenzia getta la maschera
In realtà, il nuovo strumento mantiene logiche di ponderazione statistica e normalità economica proprie degli studi di settore
Venerdì scorso, in occasione di un convegno organizzato dall’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Asti, i vertici dell’Agenzia delle Entrate, nelle persone del direttore generale Attilio Befera e del direttore centrale dell’accertamento Luigi Magistro, hanno parlato della possibilità che arrivino milioni di avvisi di non congruità alle risultanze del nuovo redditometro e al fatto che è allo studio l’ipotesi di creare osservatori regionali per la manutenzione degli indicatori del redditometro, così come si è fatto, per l’appunto, per gli studi di settore.
Nel 2008, mentre ancora tutti si accapigliavano sugli studi di settore, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili è stato il primo a insistere sulla necessità di dare maggiore centralità, nella lotta all’evasione fiscale di massa, all’accertamento sintetico di tipo redditometrico.
Nella primavera 2010, siamo stati di nuovo i primi a lanciare l’allarme: quello che l’Agenzia delle Entrate ha in testa non è un nuovo redditometro, potenziato grazie a una maggiore interazione con le sempre più efficaci banche dati a disposizione dell’anagrafe tributaria, come noi stessi avevamo suggerito, ma qualcosa di snaturato in una sorta di studio di settore per privati.
All’Agenzia delle Entrate non basta evidentemente la presunzione “1 euro speso = 1 euro guadagnato”, propria dell’accertamento sintetico; e nemmeno la possibilità di aggiungere a quella presunzione anche la “monetizzazione” delle spese di presumibile gestione dei beni patrimoniali di cui viene accertata, grazie anche all’anagrafe tributaria, la disponibilità da parte del contribuente.
No, per raggiungere l’obiettivo di 20 miliardi di euro di recupero sul 2011 (una cifra improba, se si considera che nel 2009 il recupero fu di 9,1 miliardi, nel 2010 si attesterà a circa 11 e in entrambi i casi si trattava e si tratterà di record mai raggiunti prima) l’Agenzia delle Entrate ha bisogno anche della statistica: i redditi presunti così determinati vanno ulteriormente ritoccati al rialzo sulla base di coefficienti di ponderazione territoriale, familiare e di normalità economica nelle scelte di consumo.
In questo modo, dopo aver subito qualche anno fa lo stop da parte del popolo delle partite IVA alla inaccettabile trasformazione degli studi di settore in strumenti idonei ad invertire l’onere della prova, l’Agenzia delle Entrate fa rientrare questo suo storico obiettivo dalla finestra, perché il nuovo redditometro, pur vedendo confluire al suo interno anche logiche di ponderazione statistica e normalità economica proprie degli studi di settore, mantiene la sua preziosa (per l’Erario) caratteristica di strumento avente natura di presunzione legale che inverte l’onere della prova in capo al contribuente.
Pur capendo il travaglio di chi si vede piovere addosso obiettivi di recupero raddoppiati da un anno all’altro, quando già credeva, a buon diritto, di aver dato una accelerazione importante, restiamo dell’idea che l’operazione sia più astuta che condivisibile.
Fosse il comportamento di un contribuente, potremmo definirlo artificioso e sfuggente; in una parola: elusivo.
Se fino a ieri eravamo i soli a spiegare con chiarezza i termini della questione, credo non possano esservi più margini di dubbio dopo gli scenari che hanno apertamente prefigurato Befera e Magistro.
Noi vogliamo che l’evasione fiscale di massa venga combattuta con decisione, stroncando anzitutto i fenomeni più dannosi anche dal punto di vista della percezione della legalità, quali quelli rappresentati da chi ha tenori di vita medio-alti, ma dichiara redditi che gli consentono, con inaudita sfacciataggine, di presentare addirittura domanda per ottenere assistenza e servizi pubblici gratuiti.
Per fare questo, credevamo e crediamo ancora nell’accertamento sintetico, nel potenziamento del redditometro (non nel suo snaturamento) e nell’anagrafe tributaria.
Non accetteremo invece mai che coefficienti di ponderazione statistica e modelli di normalità economica possano concorrere a formare qualcosa più di meri indizi da comprovare adeguatamente.
Se si vuole davvero costruire insieme un nuovo modello culturale nel rapporto tra fisco e contribuente, bisogna avere il coraggio di non provare a costruire l’ennesimo modello statistico automatico.
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