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OPINIONI

Intermediari e Fisco telematico, un rapporto da rivedere

Oltre al compenso pressoché inesistente, gli invii telematici implicano professionalità informatiche estranee alle competenze dei commercialisti

/ Giampiero GUARNERIO

Martedì, 25 gennaio 2011

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Pubblichiamo l’intervento di Giampiero Guarnerio, Delegato per Milano dell’A.N.D.C. – Associazione Nazionale Tutela Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili.

Ci fa molto piacere che, dopo oltre un decennio, finalmente la categoria si stia animando sul tema degli invii telematici.
Già nel 2007 invitammo la categoria a sostenere un’azione giudiziaria da noi promossa avanti al TAR del Lazio contro la norma che discriminava il compenso assegnato a noi e quello assegnato alle banche.
Violando il principio di uguaglianza, l’art. 3 del DPR 322/1998 allora disponeva per noi un compenso “fissato per legge” di € 0.51 per invio, mentre per le banche il compenso era determinato sulla base di una “apposita convenzione”, che stabilì un compenso medio intorno ai 5,5 euro (variabile in funzione della lunghezza dei files) – ben 11 volte superiore al nostro.

Probabilmente, proprio a seguito del nostro ricorso al TAR del Lazio – tuttora pendente – la norma venne riformulata prevedendo un euro di compenso uguale per tutti.
Quanto tale compenso sia giudicato indecoroso dallo stesso Legislatore è evidente: basti osservare che il DM n. 169 del 2 settembre 2010 ha stabilito che l’onorario corretto per gli invii telematici è compreso tra i 40 e i 100 euro (cfr. tab. 2 art. 47).

Ma c’è molto di più. In generale tutto il rapporto intermediari-Fisco telematico è irrazionale, a cominciare proprio dalla natura dei documenti inviati.
Prendiamo le dichiarazioni. Sono redatte su carta, e prevedono la raccolta della firma “con la penna” da parte del contribuente (art. 1 DPR 322/98). È però previsto che siano presentate all’Agenzia “in via telematica”.
Qualcuno dovrebbe spiegarci come è possibile spedire un documento cartaceo in via telematica. Chi ha dimestichezza con le procedure di legge per la redazione e conservazione dei documenti informatici sa benissimo che un documento o è analogico o è digitale. L’una forma esclude l’altra.

E allora, cos’è che realmente spediamo all’Agenzia delle Entrate?
Noi non spediamo le dichiarazioni firmate dai clienti, ma inviamo un “file”, sostanzialmente illeggibile, che dovrebbe contenere le stesse informazioni delle dichiarazioni cartacee, e di cui attestiamo la conformità.
Altro che mero “invio telematico”: una vera attività di “traduzione” in bit di una realtà analogica, e per di più in un formato che non è nemmeno la riproduzione dell’immagine del documento analogico.

E non è tutto. Quest’attività di “traduzione” di cui siamo responsabili richiede professionalità informatiche estranee alle nostre competenze tecnico-professionali. La nostra professionalità riguarda il contenuto della dichiarazione “vera”, mentre della “conversione informatica” della medesima dovrebbe occuparsi chi ha la competenza professionale per farlo, assumendosene le relative responsabilità.

Ma se proprio volessimo restare gli unici titolari del rapporto tra contribuente e Fisco, almeno dovremmo poter inviare un file “pdf”, che sia chiaramente leggibile, operando nell’ambito di un rapporto di fiducia con l’Agenzia che consenta di porre rimedio “tra di noi” per eventuali difformità tra dati trasmessi e dati risultanti dalle dichiarazioni firmate dal cliente.

Non bastano 5 giorni per la rettifica delle dichiarazioni scartate

Ultimo punto: lo scarto della dichiarazione.
L’ipocrisia dell’attuale procedura ci concede 5 giorni per rettificare le dichiarazioni scartate. La brevità del termine lascia chiaramente intendere che, agli occhi del Fisco, noi abbiamo “il potere” di rettificare le dichiarazioni trasmesse senza l’intervento del cliente: come si potrebbe altrimenti pretendere che in soli 5 giorni si possa rielaborare le dichiarazioni e raccogliere la firma “fisica” del cliente?

Anche lo scarto in sé è, però, un atto di imperio inaccettabile. Se infatti gli scarti riguardassero unicamente il formato delle dichiarazioni (ciò che nel mondo della carta equivarrebbe alla conformità del modulo ministeriale) la procedura sarebbe condivisibile. Ma quando, come di solito accade, lo scarto dipende dal contenuto della dichiarazione, non dovrebbe mettersi in discussione l’avvenuta trasmissione, ma casomai paventare una rettifica della stessa o un invito al suo emendamento.
Insomma, ci viene chiesto di generare files informatici sulla base di documenti analogici, gratuitamente, e, a veder bene – trattandosi di un obbligo che abbiamo “in proprio” quando redigiamo noi la dichiarazione dei clienti (cfr. comma 3-bis art. 3 DPR 322/98) – senza nemmeno poter fatturare tale attività al nostro cliente.
È ora di muoversi.

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