ACCEDI
Venerdì, 18 luglio 2025 - Aggiornato alle 6.00

EDITORIALE

Sulla questione degli invii telematici, non possiamo più aspettare

/ Enrico ZANETTI

Giovedì, 20 gennaio 2011

x
STAMPA

Spesso le rivoluzioni più grandi sono messe in moto da fatti all’apparenza marginali, così come è la goccia che fa traboccare il vaso ed è il sassolino che rotola a dare avvio alla valanga.
Altrettanto spesso, per carità, fatti marginali, gocce e sassolini restano quello che sono e vengono presto dimenticati.

Sarà interessante scoprire insieme, nelle prossime settimane e mesi, a quale delle due casistiche andrà ascritta la vera e propria sollevazione dei commercialisti italiani, rispetto alla questione dei compensi riconosciuti dallo Stato agli intermediari fiscali per gli invii telematici di dichiarazioni, comunicazioni, elenchi riepilogativi e amenità varie.

La questione non si pone certo da oggi, ma è inevitabile che venga tanto più avvertita come insostenibile a fronte della moltiplicazione dei files telematici che devono essere predisposti e inviati all’Agenzia delle Entrate, dovuta a una serie di concause già evidenziate in precedenti occasioni (si veda l’editoriale “Fisco: una comunicazione tira l’altra” dello scorso 10 gennaio).
Tra elenchi INTRASTAT, comunicazioni black list, comunicazioni delle dichiarazioni di intento per l’utilizzo del plafond IVA, comunicazioni delle operazioni superiori a 3.000 euro, modelli di pagamento F24 e dichiarazioni annuali varie, ci si mette un attimo a dover confezionare decine di files all’anno per singolo contribuente.

Oggettivamente, non è chiaro perché questo tipo di attività (che va al di là dell’eventuale consulenza prestata a monte al contribuente per la corretta predisposizione dei modelli e attiene piuttosto all’interesse della Pubblica Amministrazione ricevente di non dover, essa stessa, procedere all’imputazione nei propri sistemi informatici dei dati ricevuti) debba essere lasciata a carico del professionista che trasmette o del contribuente che presenta.

Perché i files mandati dagli intermediari fiscali con oggetto elenchi o comunicazioni devono prevedere “zero” nella casella compenso?
E perché i files mandati dagli intermediari fiscali con oggetto dichiarazioni annuali devono prevedere compensi di 1 euro, quando invece per i 730 si aggiungono a quell’euro altri 16,03 euro?
Possibile risposta a questa seconda domanda: perché nella presentazione dei 730 i CAF svolgono l’ulteriore funzione pro Erario rappresentata dall’apposizione del visto di conformità della dichiarazione alla sottostante documentazione.

E allora perché, ad esempio, le dichiarazioni annuali IVA presentate con apposizione del visto di conformità ex art. 10 del DL 78/2010 (per poter utilizzare in compensazione i crediti IVA) valgono comunque solo 1 euro e non, come minimo, 17,03 euro (come minimo, perché in realtà è evidente che l’apposizione di un visto di conformità su una dichiarazione annuale IVA implica responsabilità e controlli ben maggiori di quello su un 730)?
Senza contare che, alla fin fine, non pare nemmeno essere una questione di visto di conformità, atteso che il modello 730 presentato direttamente dal datore di lavoro (relativamente al quale non è previsto alcun tipo di visto) viene comunque remunerato dallo Stato in misura pari a 13,82 euro.

Insomma, è fuori discussione che i conti non tornino e ci siano incongruenze che sembrano spiegarsi solo con la differente forza contrattuale delle diverse tipologie di soggetti che prestano l’attività di front office informatico per la Pubblica Amministrazione di turno.
In proposito, possiamo ben dire che i commercialisti si collocano sull’anello più basso di questa specifica catena alimentare ed è veramente sorprendente, se si pensa che è la stessa Agenzia delle Entrate a ricordarci, nel suo recente comunicato, che il 60% delle dichiarazioni fiscali dei titolari di partita IVA le confezioniamo e inoltriamo noi.

In verità, non credo nemmeno sia giusto colpevolizzare l’Agenzia o lo Stato, seppure sia indubitabile che entrambi per la propria parte ci marcino alla grande, come dimostra il fatto che nel bilancio previsionale dello Stato per il 2010 siano ben 320 i milioni di euro stanziati per compensare l’attività dei CAF e che, nonostante gli oneri di gestione dell’Agenzia delle Entrate ammontino a 2.865 milioni di euro (mica bruscolini), solo una parte infinitesimale di questa somma venga poi girata a coloro che svolgono per essa tutta l’attività di raccolta e stoccaggio informatico dei dati.

In effetti, perché mai dovrebbero preoccuparsi loro di riconoscerci compensi allineati a quelli che, a suo tempo, riconoscevano a banche e poste e che tuttora riconoscono ai grandi sindacati del lavoro dipendente, se non siamo capaci noi per primi di chiederlo?
Ed ecco l’idea “clamorosa”: e se ci provassimo sul serio a chiederlo con la giusta determinazione, nella serenità tra l’altro che si tratta di una rivendicazione non soltanto giustificata, ma addirittura quasi banale?
Sperando ovviamente che, se c’è qualche generale disposto a gridare, ci sia poi davvero un esercito disposto a seguire.
Altrimenti, tanti saluti.

TORNA SU