La patrimoniale magari no, ma il dibattito sì
Il dibattito che infuria in questi giorni sul tema dell’imposta patrimoniale, intesa non già come strumento di sfogo di furori ideologici di un’altra epoca, ma come scelta meditata con la quale chiedere al patrimonio privato le risorse per ridurre il debito pubblico e abbassare il prelievo sui redditi di lavoro e produzione, è stato anticipato alcune settimane fa su questo quotidiano dai commercialisti italiani (si vedano “Anche l’OCSE apre alle imposte patrimoniali” del 21 dicembre 2010 e “Per l’imposta patrimoniale servirebbe un sistema fiscale più serio” del 12 gennaio 2011).
Nulla di nuovo sotto il sole e anzi sarebbe strano il contrario, atteso che su questi temi la nostra professione abbina la competenza tecnica giuridico-economica alla sensibilità sociale di chi sta ogni giorno sul campo, spesso in via mediana tra esigenze del privato ed esigenze del pubblico.
È lo stesso motivo per il quale, tra qualche mese, assisteremo alle stesse perplessità e critiche, nei confronti di alcune delle recenti novità a senso unico pro fisco in materia di accertamento e riscossione, che sino ad oggi soltanto i commercialisti hanno stigmatizzato in modo chiaro e argomentato.
È il rovescio della medaglia della lungimiranza, ma i vantaggi del dritto sono tali che la nostra categoria si tiene volentieri stretto anche il rovescio.
Rifiutare a priori di discutere sul tema di una imposta patrimoniale concepita in modo tale da favorire la creazione di nuova ricchezza privata, anziché la mera ed ideologica redistribuzione della ricchezza privata esistente, significa commettere l’errore di chi non soltanto non riesce a vedere quel che accadrà domani, ma neppure si rende conto di cosa è l’oggi, perché è completamente prigioniero di un ieri che non esiste più.
Per chi non se ne fosse accorto, l’attuale governo che, tra le altre cose, ha progressivamente limitato le compensazioni fiscali, moltiplicato in modo alquanto significativo gli adempimenti, velocizzato la riscossione senza porsi troppe domande sul rapporto tra riscossione e giustizia tributaria, previsto l’obbligo di identificarsi con il codice fiscale per fare acquisti di una certa importanza, non è il governo de “le tasse sono bellissime” e “anche i ricchi piangano”, bensì il governo de “se un fisco oppressivo chiede troppo a un cittadino, quest’ultimo ha il sacrosanto diritto di difendersi” e “la proprietà è sacra”.
Personalmente, ritengo che le tasse siano tutt’altro che bellissime; che mi interessa più ridere io di quanto non mi interessi che piangano i ricchi; che, di fronte a un fisco oppressivo, un cittadino ha il dovere di darsi da fare, mettendoci la faccia anche con critiche aspre, perché smetta di essere tale per tutti, piuttosto che il diritto di fare “silenziosamente” in modo che smetta di essere tale solo per sé; che la proprietà è sicuramente sacra, ma lo è ancora di più la speranza di ciascuno di poter a sua volta risparmiare il giusto sui suoi redditi e possedere così un domani qualcosa anche lui.
Ritengo anche che siamo in molti a pensarla così.
Per chi la pensa così, discutere, alla luce della situazione in cui si trova oggi il Paese, in merito all’introduzione di una imposta patrimoniale vincolata alla riduzione del debito pubblico e della pressione fiscale sui redditi di lavoro e produzione, non è certo piacevole, ma non è nemmeno un tabù.
Magari non la vogliamo, ma vogliamo che se ne parli.
È infatti un’opportunità che consente di mettere ancora meglio in luce come siamo ormai arrivati a un punto tale per cui l’attuale classe politica del Paese è nella sua interezza, da sinistra a destra, nemica dei giovani e dei meno giovani di buona volontà che sperano di costruirsi un futuro e un presente di benessere, anche se non hanno alle spalle un passato di ricchezze già accumulate o magari ereditate.
Da una parte, infatti, si pensa che tassare sia bello e si ritiene ricco anche chi semplicemente ha un buon reddito derivante dal proprio lavoro o attività economica.
D’altra, di fronte a una situazione evidentemente molto difficile, piuttosto che mettere in discussione il totem inviolabile della proprietà, si preferisce intensificare in modo davvero straordinario i poteri del fisco sul cittadino, con gli evidenti rischi che ciò può comportare, in termini di esasperazione del rapporto.
La situazione è grave e, non fossimo in Italia, sarebbe pure seria.
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