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LETTERE

Fiskal-Pakt: l’ennesimo fardello europeista sulla pelle degli italiani

Sabato, 11 febbraio 2012

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Spettabile Redazione,
poco più di una settimana fa abbiamo assistito, del tutto inermi, alla ratifica, da parte del Presidente del Consiglio Mario Monti insieme ad altri ventiquattro rappresentanti di Paesi membri dell’Ue, del cosiddetto Fiscal Compact, un trattato “sulla stabilità, la coordinazione e la governance nell’unione monetaria ed economica” – questa la sua definizione ufficiale – che sembra possedere, a conti fatti, le sembianze dell’agnello e la sostanza del lupo.

Nel merito del Fiskal-Pakt, vorrei proporre due considerazioni, una di fondo (o “di principio”) e una più specifica. Cominciamo da quest’ultima.
Nelle undici pagine in cui si snocciolano i suoi sedici articoli, due sono i punti che più attirano la preoccupata attenzione di chi scrive: in primo luogo, si legge un caloroso “invito”, affinché ogni Stato firmatario si impegni a riportare il proprio debito pubblico entro la soglia del 60% del PIL, riducendo il disavanzo rispetto a questo valore al ritmo di un ventesimo ogni anno. Sia detto per inciso: questa riduzione, stante la situazione debitoria attuale del nostro Paese, costerà all’Italia la cifra esorbitante di circa 48 miliardi di euro per il primo anno, per scendere (si fa per dire) progressivamente a 45,6 e a 43,3 miliardi con l’andare degli anni (oppure, come di seguito si descrive, per salire ad importi ancora più elevati).

A questo punto, è abbastanza intuitivo osservare che, con il ridursi del rapporto debito/PIL, diminuisce la differenza tra il debito effettivo e il termine-soglia del 60%, con la conseguenza del progressivo assottigliarsi del valore di un ventesimo di questa differenza. Il risultato finale sarà che, come nel paradosso di Zenone tra Achille e la tartaruga, anche uno Stato virtuoso, che riesca a far quadrare i propri conti, tenderà a rimanere a lungo al di sopra del livello del 60%, che diventerà un traguardo tanto anelato quanto quasi asintotico. È chiaro quindi che, per il raggiungimento del valore soglia, sarà determinante, a fianco del contenimento del debito, innanzitutto l’incremento del PIL; ma per ottenere questa crescita sono necessari importanti investimenti anche a lungo termine, che è la seconda e “aurea” regola (goldene Regel l’ha chiamata Angela Merkel) del Fiscal Compact a precludere.

Fare il passo in più verso la soglia di riferimento sarà pertanto tendenzialmente precluso dal fatto di trovarsi tra l’incudine di dover ridurre il rapporto debito/PIL attraverso l’incremento di quest’ultimo, e il martello – Malleus deficitorum potremmo chiamarlo – del pareggio di bilancio, che del PIL impedisce la crescita.
Ipotizzare lo scenario opposto non dà del resto alcun sollievo, ma conduce ad un contrappasso anche più doloroso: se il PIL dovesse scendere, aumenterebbe, in forza del meccanismo sopra illustrato, il valore del rapporto debito/PIL, e di conseguenza l’entità della riduzione (un ventesimo della differenza tra debito effettivo e valore soglia del 60%) da doversi effettuare annualmente. È chiaro che il rispetto di questo Diktat costringerebbe astrattamente lo Stato a riduzioni del debito sempre più elevate, alimentando così la spirale recessionistica che, nelle teorie, si vorrebbe immaginare come circolo virtuoso.

Che l’orizzonte di una riduzione del debito sia un traguardo auspicabile e, soprattutto nel caso dell’Italia, anche necessario, non significa – come ha ben mostrato Giuseppe Pisauro nel suo articolo comparso sul sito lavoce.info – che la via per raggiungerlo debba passare per l’obbligo ferreo al costante pareggio di bilancio, che, secondo il Trattato, dovrà addirittura essere inserito da ciascuno Stato nella propria Costituzione, o in un’equivalente Grundnorm.
Stando a quanto riportato nel Trattato, infatti, ogni Stato che, come l’Italia, ha sottoscritto il Fiscal Compact dovrà presentare un bilancio in cui il deficit strutturale non superi la soglia dello 0,5% del PIL, pena l’attivazione, nei suoi confronti, di una serie di sanzioni comminate dalla Corte di Giustizia europea su richiesta della Commissione europea, ma anche dietro segnalazione di un altro Stato membro. Risultato: l’istituzione di un nuovo ordine europeo, basato sulla perpetua vigilanza di una polizia tributaria, e il ripresentarsi, sotto nuove spoglie e al livello interstatale, del vecchio homo homini lupus di hobbesiana memoria.

Se lasciamo per un momento sullo sfondo l’aspetto più tecnico della questione, ad apparire nella sua piena e forse più grande gravità è in verità un secondo aspetto, ossia la totale assenza, di fronte a questa decisiva sottoscrizione, di qualsivoglia consultazione della cittadinanza italiana, la cui sovranità è stata scavalcata da un’autocrazia – sobria e composta, com’è nel suo stile – in salsa tecnocratica, secondo la ricetta del Presidente del Consiglio Mario Monti.
Coerentemente con lo stile, discutibilmente democratico, con il quale il presente Governo è salito in carica, il Presidente Monti ha sottoscritto, a nome di una cittadinanza che ha dimenticato di interpellare, un accordo che sembra, visto da vicino, piuttosto un “patto col diavolo”, dal quale non v’è da aspettarsi, come si è detto ed è noto, nulla di buono.

Il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio avrà infatti sulle nostre famiglie dure ripercussioni, molto più concrete e tangibili dell’eterea sostanza di cui è fatta la finanza: una sicura diminuzione dei servizi socio-assistenziali, e un uniforme e necessario abbassamento della loro qualità, ancora, per l’ennesima volta, a scapito dei cittadini.

Di fronte a decisioni di questo tipo, che dietro il nome di altisonanti programmi europeisti, nascondono un gravoso fardello a carico della popolazione, chi scrive è della ferma convinzione che dovrebbe essere quantomeno indetto, per trasparenza e rispetto nei confronti degli italiani, un referendum, una delle poche espressioni di democrazia ancora possibili.

Nota a margine. Nel celebre film Danton, lo stesso Robespierre comprende, sul letto di morte, la verità più amara: la democrazia, ch’egli voleva, è in se stessa impossibile, se per realizzarla contro l’ancien régime è necessario passare per la sua contraddizione, il Terrore.
Chissà se i tecnici che guidano oggi le sorti dell’Europa e del nostro Paese vorranno e potranno ancora tenere, come traguardo e presupposto del loro operare, quella democrazia che nella futura Europa sembra la prima a non poter avere piena cittadinanza.


Antonio Faglia
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Brescia

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