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Domenica, 29 giugno 2025

OPINIONI

Nuove regole sulla crisi per provare a crescere

La riforma della legge fallimentare, in vigore da oggi, contiene novità positive, la cui riuscita è però minacciata da aspetti negativi e rischiosi

/ Massimo FABIANI

Martedì, 11 settembre 2012

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Pubblichiamo l’intervento di Massimo Fabiani, docente di diritto processuale civile ed Esperto nelle Commissioni di diritto fallimentare del CNDCEC.

Oggi, 11 settembre 2012, non è solo l’anniversario di un tragico evento che cambiò il mondo, ma è anche il giorno dell’entrata in vigore di un’ennesima riforma della legge fallimentare, riforma che aspira a cambiare, quasi, il mondo della crisi dell’impresa.

Il tratto che qualifica l’art. 33 del DL 83/2012 (nella versione modificata con la legge di conversione 134/2012) è rappresentato, al di là di ogni ragionevole dubbio, dalla dichiarata opzione di agevolare le imprese nell’uscita dalla crisi premiando soluzioni che mettano al centro la continuità aziendale.
Ora, non è seriamente sostenibile che tutte le nuove disposizioni siano orientate ad assecondare un’impresa in crisi che voglia proseguire l’attività, ma il leit-motiv è senza dubbio questo. Una precisazione s’impone sin da subito: il fatto che si sia voluto premere l’acceleratore sulla soluzione delle crisi incentivando il ricorso al concordato preventivo è un dato di fatto, non un giudizio di valore.

Un primo e affrettato bilancio potrebbe chiudersi con un segno positivo, perché le novità favorevoli sono decisamente prevalenti su quelle negative; quelle negative, però, potrebbero innescare meccanismi perversi tali da inficiare il risultato complessivo. La stessa opzione che premia la continuità aziendale non è scevra da rischi anche seri, visto che nella maggior parte dei casi questa continuità è assicurata da apporti finanziari che, venendo a fruire (giustamente) del vantaggio della prededuzione, possono erodere ulteriormente le aspettative dei creditori pregressi. Soprattutto in un momento di gravissima crisi macroeconomica, le prospettive dichiarate nella proposta possono risultare velleitarie e tali da indurre i creditori, specie quelli meno attrezzati, a sentirsi più al sicuro nel riparo della procedura fallimentare. Non a caso, il Legislatore ha così inciso sul modo di espressione del voto, proprio per rendere i creditori apatici l’ago della bilancia, col metodo del silenzio-assenso.

Ci sarà occasione di entrare nel dettaglio delle disposizioni novellate. Per ora, giova segnalare il fatto che, purtroppo, ancora una volta, si è privilegiata la tecnica del rattoppo (magari un buon rattoppo) rispetto alla tecnica dell’intervento strutturale. Si deve essere consapevoli che in un arco della storia, ormai non più breve e fuggevole, le vere riforme siano tutte state varate con la decretazione d’urgenza, e tuttavia, senza il timore di apparire nostalgici, un tweet in meno e un libro in più, per amore di sistema, non avrebbero cagionato danno.

In sintesi, i tratti qualificanti dell’intervento normativo sono concentrati su tre poli, tra loro intrecciati: il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e i finanziamenti.
Gli accordi di ristrutturazione non subiscono variazioni profonde, ma l’accresciuto ruolo del professionista attestatore (che deve, ora, espressamente attestare anche la veridicità dei dati aziendali), la previsione di un regime dei finanziamenti diverso e più articolato, la decisione di rendere un po’ meno rigido il pagamento dei creditori estranei (con una breve moratoria di centoventi giorni, ma densa, se si vuole, di implicazioni sistematiche ricchissime in quanto ulteriore tassello di una spinta, forse, inarrestabile verso la concorsualità, anche se ancora – e per fortuna – non giunta a compimento) e l’introduzione di un regime autorizzatorio sui pagamenti sembrano da un lato irrobustire l’istituto, ma al contempo vanno nella direzione di un’ingessatura.

Un’ingessatura che rischia di porre gli accordi di ristrutturazione in una posizione di minorità rispetto ad un concordato preventivo, che si arricchisce notevolmente di nuovi istituti tutti volti, da un lato, a favorire la prosecuzione dell’attività e, dall’altro, a incentivare ulteriormente un approdo tempestivo nei tribunali e un approccio ancora più elastico nella proposta.

Esaminandole in filiera, le gustose novità del concordato sono aperte dalla previsione del confezionamento della domanda “in bianco” e cioè la riconosciuta legittimità all’accesso ad alcuni benefici del concordato (si pensi, in particolare, agli effetti inibitori su azioni esecutive e cautelari) prima ancora della fissazione del contenuto del piano e della proposta. Un’ipotesi che vorrebbe accostare l’esperienza domestica a quella nordamericana, specie perché condita dalla voluta immediata intromissione del giudice, a cui poteri autorizzatori di ampio respiro restituiscono un ruolo gestorio (sebbene solo per assecondare il debitore).

Degni di rilievo sono, però, anche alcuni corollari, volti a favorire una prosecuzione dell’impresa: dal regime concorsualizzato dei contratti pendenti (rimesso all’autonomia dell’imprenditore), all’alleggerimento del peso delle ipoteche giudiziali (quelle iscritte nell’imminenza della crisi sono armi disinnescate), alle regole sulla sospensione delle rigidità del sistema codicistico sulla permanenza del capitale sociale nelle srl e nelle spa, alla nuova disciplina dei pagamenti dei creditori anteriori quando essenziali, per non dimenticare la protezione nel campo degli appalti pubblici.
Poiché si discute di crisi dell’impresa in un contesto di auspicata crescita, ovvia era un’attenzione verso il finanziamento alle imprese in crisi, certo oggi meglio regolato sul piano sostanziale, ma in un variegato, e invero un poco dispersivo, triangolo di disciplina.

Prima ancora di una disamina nel dettaglio che, si teme, alcuni faranno più col microscopio alla ricerca dell’errore che con una visione di sistema, v’è da augurarsi che coloro che la riforma debbono applicarla assumano un approccio laico e non ideologico e che coloro che stanno dalla parte delle imprese capiscano che è giunto il momento di dare spazio a quell’etica che la “domanda in bianco” rischia seriamente di minare.

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