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LETTERE

Le imprese dovrebbero beneficiare dei potenziali effetti positivi sul credito

Martedì, 8 aprile 2014

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Egregio Direttore,
sul finire dello scorso anno si sono succeduti dei provvedimenti legislativi il cui senso, quantomeno in punta di logica e di coerenza, mi riesce davvero difficile da cogliere e comprendere appieno. Il riferimento corre, da un lato, al decreto legge che ha consentito un positivo effetto contabile sul patrimonio di talune banche italiane e, dall’altro lato, alla legge di rivalutazione in relazione ai beni d’impresa.

A prescindere dalle opinioni politiche sul primo provvedimento in questione, aspetto che qui peraltro non interessa, ciò che è stato declinato come dato oggettivo e come risultato positivo da conseguire, nell’ottica ovviamente di chi quella disposizione ha caldeggiato e sostenuto, è il rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito interessati. Un rafforzamento che dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, facilitare la concessione di più prestiti e consentire di essere più performanti nel perimetro di Basilea 3.

Ebbene, il provvedimento, visto in quest’ottica, assume un contorno che si potrebbe definire quasi di utilità sociale, di fronte al quale tutti, indistintamente, dovrebbero abbandonarsi a scene di pubblico giubilo. La causa, ovvero il rafforzamento patrimoniale, produce (rectius dovrebbe produrre), pertanto, effetti positivi. Li attendiamo con ansia.

La legge di stabilità 2014 (art. 1, commi da 140 a 146) ha fatto rivivere la riapertura dei termini per usufruire dell’opportunità di rivalutare beni d’impresa e partecipazioni, eccezion fatta per gli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa. La norma però, in questo caso, sembra mirata più ad esigenze di gettito fiscale piuttosto che alle effettive necessità ed esigenze delle imprese, di qualsiasi dimensione esse siano.

Esigenze e necessità che oggi, nella situazione economica in cui ci troviamo, non sembrano essere apoditticamente dissimili, per tanti versi, da quelle che evidentemente interessano gli istituti di credito. Il saldo attivo di rivalutazione, come noto, è una posta che va imputata al capitale sociale o, in alternativa, accantonata in apposita riserva ed è utilizzabile al fine della copertura delle perdite.

Eppure, la rivalutazione in parola, differentemente da quanto consentito in passato da leggi del tutto similari, pare non consenta di effettuare la rivalutazione ai soli fini civilistici, assumendo, invece, una valenza squisitamente fiscale (leggasi a pagamento, tanto per gli effetti diretti della rivalutazione quanto per l’eventuale affrancamento della riserva). Qui il condizionale lo si usa, pertanto, non per i potenziali ed auspicabili effetti, ma perché, come purtroppo sempre più frequentemente capita, a porre dei paletti sul terreno dell’interpretazione autentica non è il medesimo legislatore, come fisiologicamente dovrebbe essere, ma l’Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2014.

Il dato letterale della norma, sul quale qui non mi soffermo, potrà pure collocarsi in un rutilante caleidoscopio di possibilità, dall’evanescenza, per taluni, sino alla granitica certezza, per altri, ma, posta la delicatezza della norma per il mondo delle imprese e attesa la necessità di guardare al mondo produttivo con pari attenzione – se non maggiore – rispetto al mondo bancario, mi chiedo se sia “normale” affidarsi, ancora una volta, alle interpretazioni dell’Agenzia e non sia più giusto, invece, attendersi sia il legislatore a fare chiarezza una volta per tutte.
Confidiamo in questo nella sensibilità e nella competenza in materia del Sottosegretario Enrico Zanetti.

Il paradosso è che a beneficiare dei potenziali effetti incrementativi sul credito, imputabili alla prefata iniezione patrimoniale inoculata in alcune banche italiane, dovrebbero, tra gli altri soggetti, essere in primis quelle stesse imprese che, se fosse stata scritta o interpretata diversamente la norma, avrebbero potuto presentarsi al cospetto degli istituti con un netto patrimoniale maggiormente aggiornato e più rispondente, anche solo civilisticamente, ai valori aziendali.

Il parallelismo è forse azzardato, ma, trattandosi, in questo specifico caso, proprio di linee che non si incontrano mai (al netto della visione recata dalla “geometria sentimentale”), mi è sembrato, nel contempo, azzeccato.


Marco Cramarossa
Dottore Commercialista in Bari

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