Senza un obiettivo i sacrifici non servono
Se non sai dove andare, accelerare il passo serve solo ad arrivare più in fretta nel posto sbagliato.
Nell’anno appena trascorso abbiamo assistito ad un grande attivismo del Governo che ha suscitato la reazione veemente delle forze conservatrici, sindacati in testa, le quali, nonostante l’Italia non registri da anni un solo parametro economico positivo, si ostinano ad opporsi a ogni cambiamento che possa aprire un pur minimo spiraglio alla ripresa.
Oltre all’opposizione degli imperatori del diritto acquisito, le cui dottrine implacabili hanno portato l’Italia sull’orlo della bancarotta e costruito uno Stato ipertrofico che produce servizi a volte scadenti quasi sempre molto costosi (la sanità costa oltre 1.800 euro procapite), mi pare che Renzi, e gli italiani con lui, scontino anche una scarsa propensione a fare chiarezza sugli obiettivi di fondo.
Cosa vogliamo diventare come società e come sistema economico? Senza un pur approssimato disegno, nemmeno il più abile muratore è in grado di costruire.
Il compito della politica sarebbe proprio offrire ipotesi prospettiche fra cui scegliere, sapendo che scegliere implica sempre una rinuncia.
Possiamo proseguire al grido di “pensioni e sanità non si toccano”, accrescendo il macigno di debiti delle generazioni future. Su 801 miliardi di spesa pubblica 2012, la spesa per pensioni, assistenza sociale e sanità è stata di 392,4 miliardi (49%), la spesa per interessi di 86,7 (quasi l’11%).
Possiamo assistere immobili ad uno Stato che non fa sostanzialmente altro se non trasferire una montagna di denaro da un gruppo di cittadini (imprenditori, lavoratori autonomi e dipendenti) ad un altro gruppo di cittadini (pensionati e detentori del debito pubblico), con l’aggravante che il numero dei primi diminuisce mentre quello dei secondi cresce.
Possiamo proseguire imperterriti con l’approccio da caserma, dove chi è dentro ha tutto “acquisito” e chi è fuori deve meritarsi ogni giorno il diritto all’esistenza. Possiamo accettare passivamente la desertificazione produttiva in atto, pensando che le risorse per lo Stato e il reddito per i cittadini possano indefinitamente arrivare da patrimoniali, IMU o aumento dell’IVA. Possiamo rassegnarci a vedere i nostri giovani laureati sognare di andare all’estero, e che il nostro destino sia vendere la Coca Cola ai cinesi che vengono a vedere San Pietro, in attesa di portare via anche quello.
Oppure possiamo darci un disegno di sviluppo chiaro cambiando rotta drasticamente, investendo in settori che consentano di riportare in Italia attività produttive complesse, vera attività di ricerca e un indotto di attività più semplici, ma altrettanto necessarie per assicurare al maggior numero di cittadini un lavoro vero e decoroso.
Per fare questo occorrono capacità progettuali da statisti e risorse. Sulle prime non ho idee, sulle seconde credo invece che la strada sia obbligata.
Posto che si deve alleggerire il carico fiscale e burocratico su chi crea ricchezza e posti di lavoro, spostando almeno un po’ il baricentro della spesa pubblica verso i giovani e le iniziative produttive, occorre intervenire subito e drasticamente sulla spesa pensionistica e sulla politica monetaria.
Per quanto riguarda le pensioni, si deve agire su quelle erogate adesso. Le pensioni devono servire ad assicurare una vecchiaia decorosa e non ad arricchirsi. Se è decoroso che un giovanotto vada tutti i giorni a scaricare camion per 1.300 euro al mese, e con quei 1.300 vorremmo che mettesse su famiglia e mandasse i figli a scuola fino alla laurea, lo stesso dovrebbe valere per i pensionati e quindi non dovrebbero esistere pensioni superiori allo stipendio medio di un operaio, a meno che non siano coperte dai contributi.
Purtroppo l’incidenza in valore assoluto non è elevata, ma un deciso intervento sulle pensioni d’oro avrebbe almeno un alto valore simbolico.
Per le pensioni di bronzo o di legno, non ho idee, ma costituiscono pur sempre un’enorme donazione che il ceto produttivo fa a favore dei relativi beneficiari. Su 16.561.000 pensionati, circa 8,6 milioni percepiscono prestazioni in tutto o in parte a carico della fiscalità generale (pensioni sociali, integrazioni al minimo, ecc.), il cui peso soffoca le attività produttive, le quali rappresentano però l’unica fonte per assicurarne la sostenibilità.
Se l’azione sulla spesa è socialmente e politicamente difficile, a maggior ragione non vi sono alternative ad una politica monetaria espansiva. Lo stato dell’economia e la deflazione rendono l’uso della leva monetaria obbligatorio.
Certamente esistono i vincoli europei, ma forse presentarsi dai tedeschi con provvedimenti che riordinino in modo strutturale i conti pubblici sul versante della spesa potrebbe rendere più accettabile un politica monetaria espansiva.
Non c’è più molto tempo e continuare a vedere medici che discutono se rompere o no il vetro del mobiletto dei farmaci mentre il paziente sta morendo, è un po’ irritante.
Non abbiamo scomodato Babbo Natale o Gesù Bambino per i commercialisti. Li abbiamo lasciati al loro già gravosissimo compito di intervenire per chi non ha cibo o cure mediche o non sa dove andare a dormire. Vogliamo invece scomodare la nostra classe dirigente, tutta, non solo i politici, e anche ciascuno di noi.
Oltre agli auguri di un buon anno, un invito a correre, a progettare, a realizzare, nonostante tutto.
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