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Miani: «Sosterremo i colleghi, ma lamentarsi soltanto non basta»

Il Presidente del CNDCEC illustra i progetti per «cambiare» la professione e lancia un appello alla base: «Prepariamoci a cogliere le nuove opportunità»

/ Savino GALLO

Martedì, 7 marzo 2017

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Prima la partecipazione alla trattativa tra MEF e sindacati per la revoca dello sciopero, poi i tavoli su antiriciclaggio e Fisco digitale. Quella di Massimo Miani alla guida del CNDCEC è stata una partenza lanciata, con un’attività di rappresentanza istituzionale iniziata, di fatto, ancor prima dell’insediamento ufficiale. Lo richiedevano gli eventi, chiaramente, ma anche la volontà di iniziare da subito a gettare le basi per la realizzazione di un programma complesso, il cui completamento richiederà “forse più di un mandato”. E allora bisogna correre, perché l’obiettivo, ambizioso, è quello di “cambiare la professione”.

Presidente Miani, quale sarà il primo passo?
“Sostenere e aiutare il più possibile i colleghi, la maggior parte dei quali si occupa di Fisco e contabilità, nelle difficoltà che emergono quotidianamente. Il sistema fiscale è diventato sempre più complicato e i commercialisti hanno subito l’aumento degli adempimenti, che in un primo momento sono stati fonte di guadagno, salvo poi non riuscire più a ribaltare i costi sulla clientela”.

Di qui, lamentele e critiche, che non hanno risparmiato nemmeno il CNDCEC, reo, a sentire la base, di non aver saputo tutelare le istanze di categoria. Critiche meritate oppure è il populismo dilagante, che non risparmia le rappresentanze a qualsiasi livello?
“Entrambe le cose. In passato, con l’avvento dell’era telematica, non si è capito che non governare quel processo di digitalizzazione avrebbe portato ad una situazione di questo tipo. E lo si poteva intuire, perché in quel momento l’intenzione dello Stato era quella di diminuire i costi e ribaltarli su di noi. Si è pensato che questo potesse essere valore aggiuntivo, perché produceva guadagno, ma non che si potesse arrivare a questo punto. Quindi, delle responsabilità, in buona fede, ci sono. Ma c’è anche un po’ di populismo. Lamentarsi, in una situazione come questa, è giusto, ma non ci si può limitare a quello”.

Come si fa a cambiare la percezione negativa che la base ha dei propri rappresentanti?
“Non è semplice. Noi stiamo provando ad immaginare come potrà essere la professione tra 10 anni e, di conseguenza, ad agire sulle leve per poter essere protagonisti dell’evoluzione e preparati ad affrontarla. I colleghi, però, devono capire che c’è un cambiamento in atto, modificare i metodi di lavoro e studiare nuove cose, cercando di guardare alle nuove opportunità, che ci sono”.

Una delle critiche è quella di non avere abbastanza “peso” quando si adottano le norme. È possibile contare di più?
“Sì, ma lo si deve fare partendo dalla legislazione europea, una fase che in passato è stata completamente tralasciata. La politica europea ormai detta le regole che poi arrivano negli Stati membri. Pensiamo all’antiriciclaggio: abbiamo lavorato per ridurre obblighi e sanzioni, e abbiamo portato a casa anche buoni risultati, ma pur sempre nei limiti della normativa europea. Questo ci fa pensare che il ruolo dell’attività internazionale, che in passato è stato visto solo come partecipazione a organismi sovranazionali, deve essere cambiato. Noi vogliamo essere protagonisti nel momento in cui si fanno le norme e quindi bisogna farlo a livello europeo. Altrimenti continueremo a subirle, rimanendo costretti ad accettare quello che arriva, o al massimo a muoverci all’interno di un recinto già definito”.

Prima parlava di nuove opportunità prodotte dal cambiamento. A cosa si riferiva?
“Penso alla certificazione dei processi del ciclo attivo delle fatture che emettono le aziende. Sulla fatturazione elettronica è stato creato un tavolo in cui ci aspettiamo che venga riconosciuto il nostro ruolo. Perché anche i processi digitali devono avere qualcuno che li controlla e che sia in grado di garantirne la correttezza. Come certificatori, ad esempio, potremmo poi rivolgerci al mondo bancario, che è sicuramente interessato alla certificazione dei processi per la concessione del credito, o dedicarci all’attività di controllo di gestione. Sono chiaramente attività diverse, ma se si percepisce che il mondo cambia, e ci si fa trovare pronti, le prospettive sono enormi. Se, invece, ci si limita a una mera difesa di quello che abbiamo e a lamentarsi, pian piano i problemi aumenteranno”.

Accennava all’antiriciclaggio, ambito su cui ha tenuto per sé la delega operativa in seno al CNDCEC. Stesso discorso per quelle relative alla riforma dell’ordinamento professionale e al rapporto con le Casse. Come mai questa scelta?
“Perché sono temi centrali per lo sviluppo del progetto che abbiamo in mente e voglio seguirli in prima persona, chiaramente assumendone anche le responsabilità. La riforma del DLgs. 139/2005 è importantissima, ci sono tante cose da rivedere in un ordinamento che, ormai, è superato perché tarato sulla fase transitoria. Penso alle specializzazioni, ma anche al tema delle incompatibilità, che vanno riviste e modernizzate, e a quello del sistema elettorale. Serve un sistema che elimini le conflittualità. Ho già qualche idea e, a breve, ne parlerò con il Consiglio”.

Si è prefissato anche dei tempi in merito a questo restyling?
“Molto dipenderà anche dalla stabilità del Governo. Noi abbiamo già una bozza di lavoro predisposta dal precedente Consiglio, su cui vogliamo intervenire con ulteriori aggiustamenti. Il tema sarà sul tavolo del Comitato esecutivo e del Consiglio nazionale già questa settimana, per poi discuterne nel corso della prossima assemblea dei Presidenti, in programma il 23 marzo. Fatto ciò, proveremo a correre il più possibile, per arrivare velocemente ad avere un testo pronto da presentare al Ministero. Ma lì i tempi, per quella che probabilmente sarà una legge delega, non li detto io”.

Sul coinvolgimento delle Casse in questa vostra idea di cambiamento, invece, cos’ha in mente?
“Le incontrerò a brevissimo. I nostri obiettivi sono identici, su tutti quello della crescita della professione. Il modo con cui le Casse potranno aiutare lo vedremo, ma bisogna essere più coordinati nelle linee di azione, evitando di fare le stesse cose e sprecare energie. Ragioneremo anche su una nuova sede per il CNDCEC. Se le Casse sono disponibili ad acquistare la sede, noi potremmo andare in affitto in un immobile di loro proprietà. Risparmieremmo (l’affitto per la sede di piazza Repubblica è di 1.1 milioni l’anno, ndr) e probabilmente avremmo una sede anche più efficiente”.

Chiudiamo con i rapporti con le Entrate. A proposito di lamentele, nei giorni scorsi ha fatto discutere la mini-proroga per l’invio della dichiarazione IVA. Come l’ha presa?
“Non era una mini-proroga. Ho cercato anche di dirlo sui social, spiegando che la proroga non si poteva ottenere perché è stata eliminata la comunicazione IVA e, di conseguenza, la dichiarazione doveva essere trasmessa entro il 28. A quel punto, molti mi hanno domandato se potesse essere possibile quantomeno ottenere qualche giorno in più per inviare senza sanzioni, dato che ci sono stati anche dei problemi di natura tecnica. Noi ci siamo mossi in questa direzione, abbiamo ottenuto dei giorni in più e, sinceramente, non abbiamo capito le critiche. Volevamo dare una supporto, e l’Agenzia ci è venuta incontro”

Quindi è stato un segnale di ascolto da parte delle Entrate?
“Sì, ed è stato possibile grazie ai buoni rapporti che si sono creati in queste settimane, che hanno portato alla partecipazione ai vari tavoli e all’intesa sul coinvolgimento preventivo del Consiglio nazionale nelle circolari che verranno emanate in futuro. Purtroppo, però, e torno al populismo, a volte sembra che ci si lamenti per ogni cosa. Ripeto, spesso le lamentele sono fondate, ma ci si deve rendere conto che non sempre è semplice cambiare le cose, perché a volte i ragionamenti sono vincolati anche a delle esigenze di gettito. Il clima che si è venuto a creare è buono. Bisogna avere tempo per lavorare, ma i presupposti per cambiare questo rapporto ci sono tutti”.

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