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L’amministratore deve provare la «riparazione»

/ REDAZIONE

Mercoledì, 3 gennaio 2018

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La Cassazione, nella sentenza n. 57759/2017, ha precisato che la c.d. bancarotta riparata si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento.

Presupposto necessario per l’applicabilità di tale istituto è, quindi, che le somme versate dall’amministratore nelle casse sociali abbiano effettivamente avuto quella funzione di reintegrazione del patrimonio della società precedentemente pregiudicato dagli indebiti prelievi, con un’attività di segno contrario, non rilevando certo i versamenti fatti dall’amministratore ad altro titolo.
Non hanno, di conseguenza, alcuna valenza “in termini restitutori” i versamenti effettuati dall’amministratore a titolo di versamento per futuro aumento di capitale o per altre causali non specificate.

È evidente, infatti, che, essendo l’amministratore artefice della gestione sociale, proprio in relazione alla funzione dallo stesso svolta sono consueti suoi versamenti nel conto corrente bancario intestato alla società. Ne consegue che, in presenza di una pluralità di versamenti dallo stesso effettuati nel conto corrente sociale, è onere dell’amministratore stesso che si fosse reso precedentemente responsabile di atti di distrazione (in considerazione della posizione di garanzia che grava sullo stesso al cospetto del patrimonio sociale) provare l’esatta corrispondenza dei versamenti dallo stesso compiuti con gli atti distrattivi precedentemente perpetrati, e, quindi, la loro natura di “atti di segno contrario”.

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