Non sempre licenziabile il dipendente assente che usi l’auto aziendale senza autorizzazione
L’uso dell’auto aziendale da parte del lavoratore, in giorni nei quali sia assente formalmente dal servizio, senza la prevista autorizzazione datoriale, configura un inadempimento del dipendente che non necessariamente costituisce giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
È quanto si evince dalla sentenza n. 7208 della Corte di Cassazione, pubblicata ieri.
La vicenda verteva sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa, intimato per avere il dipendente utilizzato l’autovettura aziendale, in assenza della preventiva autorizzazione, per quattro giorni, in relazione ai quali era risultato assente per malattia, festività, ferie, permessi.
Il licenziamento era stato annullato dal giudice di primo grado e la decisione confermata dalla Corte d’Appello per tardività della contestazione disciplinare e sproporzione del recesso rispetto agli addebiti formulati.
La Cassazione ha convalidato le conclusioni della Corte territoriale, rigettando il ricorso del datore di lavoro, sul presupposto che il giudice di merito avesse correttamente applicato sia il principio della necessaria tempestività della contestazione disciplinare, sia quello di proporzionalità della sanzione irrogata.
Sotto il primo profilo, in quanto la Corte d’Appello – che aveva ritenuto tardiva la contestazione effettuata a distanza di circa dieci/otto mesi per i primi tre fatti addebitati e di circa sei per l’ultimo – aveva accertato che i risultati dei controlli svolti dal datore di lavoro con cadenza semestrale erano pervenuti alla direzione commerciale dopo due/tre mesi, per cui la scelta aziendale di trasmettere, mesi dopo, alla direzione commerciale dati già noti non poteva avere rilievo nei confronti del lavoratore e della piena esplicazione del suo diritto di difesa; inoltre, in caso di contestazione tempestiva, nel caso specifico, il dipendente avrebbe potuto ricordare anche altri dettagli e approntare ulteriore materiale difensivo per contrastare in modo più preciso il contenuto delle accuse rivoltegli.
Quanto al giudizio in tema di proporzionalità, era risultato che il giudice di secondo grado, dopo aver valutato la condotta del lavoratore sotto il profilo oggettivo, ne avesse valorizzato, in particolare, la portata soggettiva, pervenendo a un ragionevole ridimensionamento disciplinare. Era infatti emerso che il dipendente aveva usufruito dell’auto solo per fare rifornimento per i giorni successivi nei quali avrebbe dovuto lavorare, per recuperare un certificato medico da depositare in azienda e per effettuare una visita presso un cliente, di cui il datore di lavoro era stato informato verbalmente.
Si trattava pertanto – secondo il giudizio della Corte d’Appello, insindacabile in sede di legittimità – di inadempimenti agli obblighi contrattuali di natura non grave sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo e, come tali, inidonei a giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, non consentendo di ritenere il recesso sorretto nemmeno da un giustificato motivo soggettivo.
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