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Per gli appalti pubblici la responsabilità solidale non può essere estesa alle P.A.

/ REDAZIONE

Sabato, 14 aprile 2018

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La responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2 del DLgs. 276/2003 non è applicabile alle pubbliche amministrazioni.
Lo ha confermato la Cassazione con la sentenza n. 9228, pubblicata ieri, dando continuità all’orientamento della stessa Corte in materia.

L’art. 29, comma 2 del DLgs. 276/2003 prevede che, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro sia obbligato in solido con l’appaltatore (nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori), entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e contributivi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto.

Tale previsione comporta la responsabilità dell’appaltante anche nell’ipotesi in cui lo stesso abbia già adempiuto per intero la sua obbligazione nei confronti dell’appaltatore, per cui, se detta responsabilità fosse applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, un eventuale inadempimento dell’appaltatore determinerebbe la lievitazione del costo dell’opera pubblica.

Ciò, però, frusterebbe interessi di carattere generale; in particolare, come precisato anche nella sentenza di ieri, la responsabilità solidale non è applicabile alle pubbliche amministrazioni “in quanto in contrasto con il principio generale in forza del quale gli enti pubblici sono tenuti a predeterminare la spesa e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati”.
Se, dunque, la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2 del DLgs. 276/2003 non può essere estesa alle pubbliche amministrazioni, la Cassazione ha confermato che è a loro applicabile la responsabilità prevista – sempre per i crediti dei dipendenti dell’appaltatore – dall’art. 1676 c.c., operando questa nei limiti di quanto dovuto dal committente all’appaltatore.
Definendo la causa, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello revocando il decreto ingiuntivo opposto nei limiti in cui aveva erroneamente riconosciuto la pretesa della lavoratrice nei confronti dei committenti pubblici.

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