Il trasferimento illegittimo non giustifica in via automatica il rifiuto a prendere servizio
Con la sentenza n. 11408, pubblicata ieri, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione del rifiuto del dipendente di adempiere al provvedimento datoriale di trasferimento ad altra sede in quanto ritenuto illegittimo.
Con tale pronuncia la Suprema Corte ha dato continuità all’orientamento secondo cui, in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore a eseguire la prestazione lavorativa: il dipendente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario a buona fede.
Nella specie, la lavoratrice, trasferita, non aveva preso servizio presso la nuova sede e per questa ragione era stata licenziata. La Corte d’Appello territoriale aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento a fronte dell’accertata illegittimità del trasferimento, che era risultato non riconducibile ad alcuna specifica esigenza aziendale, come invece richiesto dall’art. 2103 c.c. : pertanto, secondo il giudice di secondo grado, l’inadempimento datoriale realizzatosi con la violazione dell’art. 2103 c.c. giustificava il rifiuto della lavoratrice a rendere la prestazione nella nuova sede.
Con la sentenza citata, la Cassazione ha invece cassato con rinvio tale decisione, ritenendo che la Corte di merito avesse errato nel collegare la legittimità del rifiuto della dipendente al solo dato dell’adozione, da parte della società, del provvedimento di trasferimento in violazione dell’art. 2103 c.c.
Secondo i giudici di legittimità, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se tale rifiuto risultava contrario o meno alla buona fede avuto riguardo alle concrete circostanze del caso. Di tali circostanze, la Suprema Corte ha offerto, nella parte motiva della sentenza, un’elencazione in via esemplificativa.
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