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Distrarre fondi alle ONLUS non è peculato

/ REDAZIONE

Sabato, 16 giugno 2018

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La pronuncia della Cassazione n. 27202/2018 ha precisato che non risponde di peculato il titolare ed amministratore di fatto di una società immobiliare e di una serie di ONLUS che, in concorso con i relativi gestori, si appropria delle risorse economiche delle ONLUS mascherando i flussi finanziari quali pagamenti di canoni per fittizi contratti di locazione di un immobile appartenente alla società e di un altro appartenente alla moglie, peraltro per importi particolarmente elevati e decisamente fuori mercato.
Flussi che, di poi, consentivano alla società di acquisire il proprio patrimonio immobiliare e di ristrutturarlo.

Le ONLUS, infatti, non sono affatto enti esercenti un pubblico servizio (né i suoi responsabili incaricati di un pubblico servizio), ma organizzazioni del tutto private che, perseguendo determinate finalità meritevoli, ricevono un trattamento fiscale di favore (come emerge dal DLgs. 460/1997).

Neppure è possibile affermare che la gestione dei soldi delle ONLUS (che nel caso di specie svolgevano attività assistenziali in via di “convenzionamento”) sia maneggiamento di denaro pubblico. Che l’attività assistenziale possa essere esercizio di pubblico servizio può essere affermazione corretta, ma, ovviamente, sia per una ONLUS che per una qualsiasi clinica privata, tale può essere solo la stretta attività esercitata per conto dell’ente pubblico.

Non è invece corretto affermare che siano soldi pubblici quelli che l’esercente l’attività per conto dell’ente pubblico riceve per il pagamento delle proprie prestazioni; si tratta, appunto, della sua retribuzione, non diversamente dallo stipendio del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio. Il pagamento della prestazione costituisce bene personale del soggetto che ha offerto la prestazione e non si tratta certamente di soldi pubblici.

Di conseguenza, viene annullato il provvedimento di sequestro preventivo per equivalente fondato sull’accusa di peculato ed invitato il giudice del rinvio ad un nuovo esame teso a chiarire (al di là delle conseguenze sanzionatorie non penali di cui all’art. 28 del DLgs. 460/1997) se e quali siano, invece, le violazioni fiscali penalmente rilevanti e gli altri eventuali reati che consentono il ricorso al provvedimento cautelare in questione.

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