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Legittima la ricollocazione della lavoratrice madre per trasferimento della sede lavorativa

/ REDAZIONE

Mercoledì, 20 giugno 2018

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Con la sentenza n. 16147, depositata ieri, la Corte di Cassazione ha considerato legittimo il ricollocamento di una lavoratrice madre, di rientro dal congedo obbligatorio per maternità, causato dell’oggettiva impossibilità per il datore di lavoro di assicurare la prosecuzione del rapporto nella stessa sede in cui la dipendente lavorava prima del congedo.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, in caso di riorganizzazione e riallocamento in un altro Comune, per esigenze del datore di lavoro, della sede presso la quale la lavoratrice prestava la propria attività, non si applicano le garanzie contenute nell’art. 56, comma 1 del DLgs. 151/2001. Tra tali garanzie poste a tutela del regolare rientro e della conservazione del posto di lavoro del genitore al termine del periodo di astensione obbligatoria, la disposizione prevede, in particolare, il diritto per le lavoratrici madri di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra sede ubicata nel medesimo Comune.

Il diritto in parola, però, non può essere esercitato, osserva la Corte, se ad ostacolare la prosecuzione dell’attività lavorativa nello stesso Comune vi è una impossibilità oggettiva “per ragioni effettive e non pretestuose”, quale è l’assenza di una sede. Pertanto, il datore di lavoro può in questo caso sospendere dal lavoro e dalla retribuzione la lavoratrice che non intenda trasferirsi presso la nuova sede.
Nel caso di specie l’intero ufficio presso il quale la lavoratrice era occupata prima dell’astensione obbligatoria per maternità, era stato riallocato in un’altra città (precisamente, da Milano a Livorno), ove la dipendente non aveva voluto trasferirsi.

Secondo la Corte non assumono rilevanza in questo caso i principi contenuti nel DLgs. 151/2001 in materia di licenziamento delle lavoratrici madri, in quanto, si tratta solo di una diversa collocazione della dipendente e non della cessazione del rapporto di lavoro per volontà del datore di lavoro.

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