Il professionista è «impresa» per gli aiuti di Stato
Con l’ordinanza n. 18801 di ieri, 16 luglio 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della disciplina degli aiuti di Stato, l’attività professionale deve essere equiparata a quella imprenditoriale “vera e propria”.
Oggetto della sentenza è la normativa contenuta nell’art. 1 comma 665 della L. 190/2014, la quale consentiva ai soggetti colpiti dal sisma del dicembre 1990 che avessero versato imposte per il triennio 1990-1992 nelle Province di Catania, Ragusa e Siracusa in misura superiore al 10% di quelle dovute (misura prevista dall’art. 9 comma 17 della L. 289/2002 per la definizione con il c.d. “condono tombale” delle medesime annualità) di richiedere a rimborso l’eccedenza; questo beneficio trovava un’eccezione per i soggetti esercenti attività d’impresa, per i quali esso era sospeso nelle more della verifica della compatibilità dell’agevolazione con la disciplina comunitaria.
La Commissione europea, con la decisione 14 agosto 2015 n. C(2015) 5549 final (confermata dal Tribunale di primo grado dell’Unione europea il 26 gennaio 2018), ha stabilito che, a questi specifici fini, devono ritenersi equiparati alle imprese anche le attività professionali, comprese le professioni regolamentate.
Conseguentemente, anche per i professionisti occorrerebbe seguire i vincoli della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, non potendosi invece invocare eccezioni in quanto il beneficio è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e non sarebbero, quindi, idonei a falsare la concorrenza.
Sulla base di tali principi la Cassazione ha escluso la possibilità di richiedere a rimborso le somme eccedenti il 10% di quelle dovute, in quanto la disciplina degli aiuti di Stato presuppone che, per i danni da calamità naturali, l’aiuto sia proporzionato al danno subìto e che non siano, quindi, possibili “sovracompensazioni”.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41