La norma sulla definizione delle liti fiscali pendenti è mal pensata
Spettabile Redazione,
leggo l’articolo di Cissello e Zanetti in merito alla definizione delle liti pendenti (si veda “Il vero condono è quello sul contenzioso” del 26 ottobre).
Sono d’accordo con loro che si tratta di una norma mal congegnata, ma per motivi del tutto opposti.
Ritengo che non sia per nulla appetibile la possibilità di chiudere una lite pendente versando il 50% della maggior imposta accertata, laddove un giudice abbia sentenziato l’illegittimità della pretesa.
Penso che nessuno di noi accetterebbe di pagare il 50% a un vicino di casa che ci abbia fatto causa per un presunto danno da noi cagionatogli, la cui pretesa sia stata ritenuta infondata da un giudice.
Come penso anche che, se lo stesso vicino proponesse appello e il giudice di seconde cure lo respingesse, non saremmo disposti a pagargli comunque il 20% pur di chiudere la lite.
Il tutto considerando che tra primo e secondo grado di giudizio l’Agenzia delle Entrate risulta completamente vincitrice per il solo 40% dei giudizi.
La norma, peraltro, risulta oltremodo mal pensata per ulteriori due motivi:
- nulla viene previsto per le soccombenze reciproche, che comunque investono una buona fetta degli attuali giudizi pendenti;
- non viene fatta alcuna distinzione tra contribuenti vittoriosi in secondo grado, ma soccombenti in primo, e contribuenti vittoriosi sia in primo che in secondo grado.
Appare del tutto evidente che non può essere parificata la posizione dei primi con quella dei secondi.
Credo che sia necessario un gran lavoro parlamentare per rendere appetibile e coerente la normativa in oggetto.
Adriano Pietrobon
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso
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Caro Collega,
le tue considerazioni sono condivisibili, ma presuppongono di fare una riforma che vieti all’Agenzia delle Entrate di ricorrere quando una pronuncia è favorevole al contribuente.
Se può ricorrere e il ricorso è a quel punto pendente, è chiaro che qualunque asticella fissata per una definizione agevolata è troppo alta per chi è convinto che le sue ragioni non potranno essere ribaltate in Cassazione.
E giustamente non aderirà.
Per chi è meno convinto, può invece essere un’occasione interessante.
L’articolo voleva evidenziare la “discrepanza statistica” tra percentuale di saldo e stralcio offerta e percentuale ufficiale di vittorie dell’Agenzia delle Entrate quando ricorre per Cassazione, nonché la “discrepanza giuridica” tra questa definizione e la molto più chiacchierata “dichiarazione integrativa speciale” per l’assenza di limiti al valore della controversia laddove l’integrativa speciale ne prevede di stringenti sull’emersione di imponibile.
Alfio Cissello e Enrico Zanetti
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