Singolari interpretazioni sui compensi degli amministratori giudiziari
Gentile Redazione,
l’attuazione in sede giurisdizionale del Codice antimafia (DLgs. 159/2011) e del DPR 177/2015 in tema di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari continua a generare singolari interpretazioni, caratterizzate dall’unico fine di ridurre al minimo gli importi riconosciuti agli amministratori giudiziari.
Compensi che negli ultimi anni sono stati al centro di polemiche e di continui interventi normativi volti alla loro progressiva riduzione, dopo isolati episodi accaduti in uno specifico contesto (caso Saguto di Palermo), sul quale ci siamo più volte soffermati per denunciare come da quel momento ha preso il via un’autentica caccia alle streghe.
Un recente provvedimento dell’Ufficio Gip del Tribunale di Napoli, sulla richiesta di rimborso di spese sostenute per coadiutori preventivamente autorizzate, ha sancito che non sussiste alcuna possibilità di rimborso in corso di procedura all’amministratore giudiziario.
In realtà il costo del coadiutore, autorizzato e nominato dal tribunale, è una spesa rimborsabile a carico della procedura come si legge nella seconda parte dell’art. 3 comma 8 del DPR 177/2015 e come conferma la Relazione di accompagnamento al DPR 177/2015, secondo la quale quei costi non rilevano ai fini della quantificazione del compenso, perché ricompresi tra le spese delle quali l’amministratore ha diritto al rimborso, sempre che effettivamente sostenute e documentate.
Il comma 3 dell’art. 42 del DLgs. 159/2011 prevede, infatti, che le somme per il pagamento dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario, per il rimborso delle spese sostenute per i coadiutori, sono inserite nel conto della gestione. L’inserimento nel conto della gestione, tuttavia, non significa e non può significare che quelle spese non possano essere pagate prima dell’approvazione del conto della gestione – come i giudici napoletani vorrebbero sostenere – ma si limita a qualificare quelle spese come rendicontabili.
La stessa norma chiarisce al comma 5 che le liquidazioni e i rimborsi di cui al comma 4 – comprese le spese per i coadiutori – sono effettuati prima della redazione del conto finale.
L’avverbio temporale non impone, evidentemente, un rimborso a ridosso del conto finale ma implica, semplicemente, che ogni spesa debba essere stata effettivamente sostenuta prima del rendiconto al fine di poter esserne ricompresa.
Posto che, in relazione alla durata dell’amministrazione e per gli altri giustificati motivi, il tribunale concede acconti sul compenso finale e delle spese sostenute se congrue, preventivamente autorizzate ed effettivamente pagate, non può, di conseguenza, condividersi la scelta di non riconoscere la rimborsabilità delle spese sostenute per i coadiutori nel corso della procedura, motivata dal presunto vincolo – in realtà inesistente – di poterlo fare solo in sede di rendiconto finale.
Non riconoscere la rimborsabilità in corso di procedura di queste spese rinviandola al rendiconto finale appare, in conclusione, una forzatura che non trova adeguato supporto nelle norme e nelle prassi più diffuse. Altra prassi recentemente introdotta dallo stesso ufficio giudiziario stabilisce che, malgrado l’espressa previsione normativa contenuta nell’art. 3 comma 4 del DPR 177/2015, all’amministratore non spetti il compenso aggiuntivo dello 0,5 per cento sui ricavi delle aziende sequestrate gestite.
Come dare la responsabilità della gestione di una o più società che fatturano decine se non centinaia di milioni di euro a un soggetto al quale si chiede sostanzialmente di lavorare gratis. Confidiamo che queste prese di posizione del tribunale napoletano nei confronti degli amministratori giudiziari possano essere riconsiderate alla luce di una più serena e logica interpretazione sistematica delle norme, adeguandosi alle prassi di tutti gli altri uffici giudiziari.
Domenico Posca
Presidente Unione Italiana Commercialisti
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